domenica 26 ottobre 2008
Scozia: sì, lo voglio.
Il motivo non lo so mai spiegare se non con la sensazione di “ci sto bene” che mi ha dato quando, un tot di anni fa, ne ho girato una buona parte in auto durante una vacanza in comitiva.
I motivi di lamentazioni e borbottii altrui – le stanze dei b&b troppo piccole, il gallo della fattoria che ci ospitava che cantava troppo presto, il mare troppo mosso durante la traghettata verso le Orcadi, l’inglese duro e smozzicato della gente, e via dicendo – per me non esistevano, annichilati dai saliscendi del paesaggio, dalle soste improvvisate per “pocciare” i piedi nel mare limpido e gelato in pieno agosto, dalle distese di erica e pecore, dal the (o dallo whisky) che ci aspettava immancabilmente quando arrivavamo in certi b&b piccolissimi, tre stanze al massimo, gestiti da famiglie o da coppie un po’ in là con l’età.
Il nostro viaggio di allora, iniziato a Edimburgo con la sola direzione “verso nord”, era stato preparato per mesi. Guide, siti, consigli, programmi e piantine stradali alla mano, eravamo saliti nel nostro monovolume con volante a destra pronti alla ventura e senza troppe fisime. Fin tanto che si arrivava al b&b di quella notte, e fintanto che si trovava un pub in cui cenare e annegare nella birra la stanchezza della giornata, tutto il resto si poteva modificare.
È così che ho toccato con mano il manto delle vacche dai capelli lunghi, che ho visitato castelli e dimore mantenuti come se il tempo non fosse passato, che alle Orcadi ho visto un pezzetto di casa prima (la cappella degli Italiani, costruita dai prigionieri di guerra e conservata dagli scozzesi) e Skara Brea poi, un villaggio preistorico così intriso dello spirito scozzese che non si fa scrupolo a dire “al tempo delle piramidi io ero già storia”.
Troppo c’è da dire sulla Scozia per condensare in modo logico in un solo post, quindi perdonatemi e permettetemi di divagare.
Muovete quel culo
Non rinunciate all’isola di Skye, con Dunvegan Castle – casa dei MacLeod – a ridosso del mare e il suo parco boscoso e avvolgente. Percorrete almeno un tratto della strada del nord, da John O’ Groats a Durness all’alba o al tramonto quando le colline da un lato e il mare dall’altro vi faranno credere di essere in un caleidoscopio gigante.
Accontentavi di un sandwich e uno yogurt presi al Tesco a mezzogiorno, e rifatevi la bocca cenando in un pub con hamburger di manzo, insalatine e chips annegate nell’aceto da mandar giù con pinte di birra intere, che se tanto ne ordinate una mezza fanno finta di non sentirvi. Prendetene ogni volta una diversa, la scelta è vastissima e provarne il più possibile è un obbligo morale. E ricordatevi che, nel migliore dei casi, le ordinazioni per la cena chiudono alle 19.30 (e che pasta&pizza si evitano a prescindere).
Lasciatevi andare
Escludete gli alberghi e scegliete dal sito del turismo i b&b in cui dormire, se vi spostate in continuazione uno diverso per notte, se ci riuscite il più piccolo che trovate. Gli scozzesi che abbiamo incontrato in questo modo sono ospitali, gentili, pronti a fare quattro chiacchiere e a consigliare – in un caso, per noi, addirittura ad invitarci al loro seguito – piccole feste di paese o fiere locali nelle quali assistere al lancio del tronco, ascoltare il concerto della banda con la cornamusa, rifiutare garbatamente il piatto locale d’haggis (non volete sapere, credetemi) e ammirare uomini disinvolti nel proprio kilt, orgogliosi e fieri nel mostrare il tartan di famiglia.
Nel limite del possibile non negatevi niente, né una visita alle scogliere a strapiombo sul mare, con le foche che sguazzano decine e decine di metri più in basso, né una passeggiata lungo Princess Street a Edimburgo, con librerie su 4 piani e centri commerciali a pochi metri dalle botteguccie e dai negozietti che vi affiancheranno nei viottoli che si inerpicano verso il Royal Mile. Evitate il pub pieno di stranieri (come voi) e gente alla moda e cercatene uno con almeno tre vecchietti dentro, e passate due ore a vederli alzarsi col bastone in una mano verso il bancone per riempire il boccale una, due, tre volte.
Perdetevi
Imboccate quella stradina che vi tenta sulla destra e salutate la famiglia nella cui fattoria dai muretti bassi e con le vacche al pascolo in giardino sbucherete. Fermatevi a quel grumo di quattro case, una chiesa, una cabina del telefono e venti pecore a sgranchirvi un po’ le gambe, magari anche fra le pietre del vecchio cimitero in disuso da decenni ma ancora pulito e pettinato da non si sa bene chi.
Prendetevi tempo
Per quanto mi dolga dirlo, se il tempo a disposizione non è molto rinunciate a qualcosa, ma godetevi il resto. Non saltate da un castello all’altro come cavallette impazzite, non correte sulle stradine sghembe alla ricerca dell’ultimo museo, dell’ultima distilleria, dell’ultimo monumento.
Ogni castello ha attorno un parco che vi implora di percorrere i suoi sentieri, di scoprire i suoi piccoli giardini rinchiusi fra alte mura, di ascoltare la tranquillità che secoli di cure gli hanno donato.
I due parchi di Dunrobin Castle – casa del Clan Sutherland – e di Dunvegan Castle, che non ho visitato perché altri erano i programmi e debole la mia capacità di impormi, mi sono rimasti impressi come scorci colti dal finestrino dell’auto e null’altro che un (patetico) “se solo…”
Nel programmare l’itinerario tenetevi almeno un paio di ore libere al giorno da riempire al momento fermandovi a bordo strada per lasciar passare un gregge, chiedendo info sulle curiosità locali al gestore del mini-market, riparandovi dopo una corsa sotto una tettoia dalle solite, immancabili, quattro goccioline d’acqua o passeggiando a testa in su fra gli edifici di una di quelle scuole a convitto come nemmeno HarryPotter è riuscito a farci immaginare.
Ok, lo ammetto: sto straparlando. Ma penso che il punto della relazione fra me e la Scozia sia chiaro: se potessi me la sposerei.
Quindi, nel caso un giorno sparissi, il primo dei due-tre posti dove cercarmi è lì.
sabato 13 settembre 2008
Dead Parrot
Ah che bello, ogni tanto c'è bisogno di ridere. E come si fa a non ridere davanti ai Monty Pyton... semplicemente magnifici.
Questo sketch, tratto da "E... ora qualcosa di completamente diverso" (titolo originale "And Now For Something Completely Differen", 1971) una raccolta di sketch veramente unica, è uno dei migliori che abbia mai visto. Noleggiate o comprate il dvd, dal 1991 distribuito in Italia (e in italiano, anche se perde un po').
Unici i Monty Pyton, unica la "The Lumberjack song", ricantata in italiano da Bisio ed Elio e le Storie Tese che trovate qui. Magnifici anche loro come vi possiamo testimoniare io e Bonjo (sì a Montale c'ero anch'io!).
Ringrazio Painkiller per avermi fatto conoscere i Monty Pyton!
domenica 7 settembre 2008
Let's do the Time Warp again!!
Parlando di cose serie, avete sentito che popò di giro riesce a tirare fuori il bassista? Una cosa da rimanerci secchi! Non so chi sia, però gli rinnovo tutta la mia stima e simpatia che già avevo cinque anni fa per lui! Tra gli ultimi due video (questo e quello di Rory gentilmente offerto da una Caffeine sempre più contagiata dalle basse frequenze) non saprei proprio quale scegliere.
1) Quello di Gerry McAvoy, il bassista di Gallagher, ha un tiro spaventoso. Cioè, riuscire a creare un'atmosfera del genere con un assolo di basso non è una cosa da tutti... In più quel Precision è letteralmente da sbavo! Lo voglio lo voglio lo voglio!!(anche se poi non saprei che farmene)
2) Quello del Bassista Ignoto è puro groove, ritmo... Insomma, è quella cosa che vi fa battere il piedino quando ascoltate la canzone... Diciamo che è più l'idea che ho io del basso!
Quindi, tra i due quale scegliere?
Ovvio:
Tutti e due!!
Bonjo
domenica 13 luglio 2008
Pistoia Blues 2008 e non solo...
Sono di ritorno dall'ennesimo concerto settimanale, il quarto per la precisione, e naturalmente voglio condividere con voi tutti la mia immensa gioia! Innanzitutto perché, tra i quattro concerti sopramensionati, ben due mi hanno visto protagonista in prima persona con il mio gruppo, i Chaos Theory, che finalmente hanno esordito guadagnandosi subito un bellissimo secondo posto. Niente da ridire, i gruppi che si sono affrontati erano tutti veramente molto preparati. Alla fine l'hanno spuntata i Funk Totum (immaginatevi che genere suonano su!), seguiti appunto da noi (genere Trash Metal, indicatissimo per una festa dell'unità!) e dal Punk-Rock dei Raul Duke, per poi arrivare fino al Folk-Rock degli Ospiti... Veramente un'esperienza fantastica, soprattutto perché ho avuto la possibilità di conoscere tantissimi musicisti veramente in gamba, e poi anche perché il primo live non si scorda mai...
Comunque veniamo al dunque. Ieri sera ho finito la maratona musicale a Pistoia in compagnia dei mitici, inarrivabili, emozionanti, amabili, infallibili Deep Purple!! Si proprio loro, quelli che hanno scritto Smoke On The Water!
Arrivo in piazza di Pistoia alle sei in punto. Breve ricerca di un luogo dove rifocillarsi e poi via, direttamente in piazza, a ritmo Rock! S'arriva che la piazza è ancora mezza deserta, nonostante già dal primo pomeriggio stiano suonando gruppi più o meno blues. Ci si accampa ad una ventina di metri dal palco, in religiosa attesa...
Ore 21:00 circa. Sul palco sale il mitico Tommy Emmanuel, uno dei più grandi chitarristi contemporanei. Vederlo suonare è una cosa spettacolare e inquietante al tempo stesso... Da una parte perché ti lascia a bocca aperta vedere e sentire quello che sa fare con una chitarra in mano, dall'altra perché la tua autostima musicale, magari appena risollevata dall'aver imparato il pezzo di basso di Smoke On The Water (che magari all'inizio ti sembra anche troppo difficile), ne risente terribilmente...
Esegue una decina di brani, ogni volta incantando il pubblico con qualcosa di nuovo... Una volta utilizza la chitarra come una specie di bongo, un'altra volta suonando le corde nella paletta (!)... La fine del suo concerto vede me e il mio maestro di basso discutere sulla possibilità o meno che riesca a far suonare anche la tracolla...
Ore 22:45 circa. C'è tensione nell'aria e anche un po' di nervosismo. Stare in piedi cinque ore al caldo in mezzo a tanta gente minerebbe l' animo anche dei santi, figuriamoci quello di un gruppo di scalmanati in attesa dei Purple... E loro non arrivano...
Ore 11:00. La musica si spenge e le luci si accendano. La folla comincia a rumoreggiare... Dall'alto dei miei due metri e quattro vedo perfettamente il palco, e anche l'inconfondibile scintillio di una chiavetta di un basso che si sta sistemando, e una bandana color argentato. "O mio Dio" penso "ma quello è papà Glover!". Un attimo di silenzio percorre lo spiazzo, per poi scoppiare in un boato fragoroso appena Ian Gillan e soci fanno il loro ingresso sul palco! Panico assoluto... Per un minuto non si sente altro che grida, battito di mani e annessi urli di gaudio. Poi tutto ha inizio... Qualche colpo di tom e grancassa annunciano l'intro di Picture Of Home, mentre io quasi piango dalla commozione!Che bello!! Dopo tre minuti esatti comincio a fremere perché so quello che sta per avvenire. Prendo la mia ragazza in collo,cosi che anche lei possa vedere (mi dispiace un pò per quelli dietro di me...) e comincio ad urlarle come un ossesso "guarda Roger!!". Quindici secondi dopo si sente l'inconfondibile salto di ottave di basso...Bellissimo!!
Un applauso fragoroso sigilla la fine del primo brano. Ma lo spettacolo continua!! Si passa a The thing i never said, per poi approdare ad una canzone contenuta nel loro primo album, Into the Fire. Poi tanti altri brani che non posso descrivere per mancanza di tempo e spazio (ma soprattutto di sonno!), per arrivare ad un finale veramente scoppiettante. Basta citare le ultime cinque canzoni: Space Trucking, Highway Star, Smoke On The Water e il bis con Hush e Black Night! Come potrei descrivere l'emozioni durante queste canzoni? Highway Star l'ho cantata (stonato come mi ritrovo) dall'inizio alla fine e, non contento, ho pure doppiato con un "po-po" il riff dell'assolo di tastiera e chitarra. Appena sentiti i primi accordi di Smoke On The Water è venuto giù il mondo! Che spettacolo, non ci potevo credere! Da quante volte l'avrò sentita rifare dai gruppi più disperati, all'inizio ho pensato "poteva mancare Smoke On The Water dei Deep Purple?". Poi mi sono accorto che Loro erano i Deep Purple!! Finale al cardiopalmo con Black Night e nel mezzo un altro bell'assolo di basso di Glover.
Ore 1:20. Torniamo alla macchina. Siamo tutti e quattro esausti ma felici. Rassicuro il guidatore che gli farò compagnia durante il viaggio di ritorno. Venti secondi dopo crollo e mi addormento, risvegliandomi al casello del Valdarno verso le 2:30...
Insomma, nonostante l'assenza di Lazy (un pò ci speravo) e la voce di Ian Gillan che a volte mancava (bè ha sessantatrè anni!) è stato veramente un concerto favoloso... Da vere Rock-Star!!!!
bonjo
sabato 5 luglio 2008
Elio e le Storie Tese: live in Montale 4 luglio 2008
Che dire? E' la seconda volta che assisto ad un concerto di Elio e le Storie Tese, ed ogni volta è una scoperta e un divertimento nuovo!
Che Elio & company siano dei musicisti di prim'ordine penso che sia fuori discussione. Che siano divertenti da vedere e sentire anche. Ma la cosa più bella è che tutte le volte riescono ad inventarsi qualcosa di nuovo!
Ma andiamo per ordine...
Montale, 4 luglio 2008. A distanza di un anno esatto sono pronto al concerto del nuovo tour. Si fanno un po' attendere sul palco, ma poco importa, poiché già la salivazione è in aumento dopo aver visto lo Yamaha trb6 parcheggiato sul suo piedistallo, posizionato (non a caso!) proprio a una ventina di metri davanti a me. La folla rumoreggia, si assiste ad un via vai di tecnici che accordano la stessa chitarra almeno sei volte (dico io, ma che facevano?Uno la scordava e l'altro la riaccordava?Mah!). Prove dei microfoni tutto ok. Si abbassano le luci e la musica di sottofondo. Si parte finalmente!! Arrivano i musicisti, che sfoggiano dei bellissimi vestiti tipo teatranti dei primi dell'Ottocento. Poche battute, per lasciare tutto lo spazio alla musica!
Belle sorprese sul palco: innanzitutto lo Yamaha trb6 (l'avevo già detto?Pazienza!) e naturalmente colui che lo suona, il mitico Faso. Poi il ritorno di Rocco Tanica, che però è sostituito da un alieno Extraterrestre, Aleppe, del pianeta ì (leggesi ì). La presenza di una voce femminile veramente evocativa (Paola Folli), di un sassofonista (Daniele Comoglio ) e un trombettista (Davide Ghidoni), oltre naturalmente a Cesareo (chitarra), Jantoman (ulteriori tastiere) e il mio musicista preferito, Mangoni!
(Attenzione! Qui di seguito verranno svelate le traccie presenti sul cd brulè, se qualcuno preferisce la sorpresa, è pregato di saltare!)
Le traccie? Dopo l'intro (Plafone) si parte con Ignudo tra i nudisti, seguita a ruota da Gargaroz (bellissima) per poi deviare sui grandi classici con Mio Cuggino. Sempre sulla scia di "operazione nostalgia", si odono le note di T.V.U.M.D.B. Pausetta per scambiare due battute (e incolpare il solito ignoto che con i suoi urli sta rovinando il disco), e si riparte a ritmo di samba, con El Pube (questa mi ha fatto quasi piangere dal ridere!). Si lascia spazio a Amico Uligano, interpretato molto bene da Mangoni che continuamente tira un pallone in una porta messa sul palco. Poi, siccome Montale è noto per essere la patria della disco music, si ha Medley Dance, un miscuglio dei brani Pipppero, La Chanson, Discomusic e Born To Be Abramo. Segue un brano più tranquillo e acustico (Fossi Figo) e in chiusura del cd Brulè la celeberrima Parco Sempione.
Successivamente sono state eseguite tantissime altre canzoni, molte delle quali presenti sul loro nuovo album (eh bé, è il tour promozionale!), però non sono mancati momenti commoventi, come quando si sono sentiti i primi accordi di Tapparella o il cambio di strumenti che fa da preludio a Oratorium. Per il resto semplicemente fantastici!
Note positive: tantissime. A partire dal prezzo del biglietto, 16 euro, che è più basso della media di altre esibizioni analoghe. Per di più hanno suonato per più di un'ora e mezzo (anche se a detta di Elio in playback, perché sarebbe stato impossibile suonare cosi bene!).
Sorvolando sulla perfezione di esecuzione, che è ormai un dato assodato (e solo questo è un motivo più che valido per andare a sentire un concerto):
-Bellissimo il pezzo di slap sul manico (!) di Faso nell'Intro di Mio Cuggino.
-La diteggiatura di Faso sulla tastiera del suo sei corde (non perde mai la posizione, una cosa incantevole da vedersi!)
-Gli assoli di Faso sulla tastiera del suo sei corde
-L'accompagnamento di Faso sulla tastiera del suo sei corde
-Faso
-Il suo sei corde
-Momento esilarante durante l'esecuzione di Suicidio a Sorpresa, quando Mangoni (sempre lui!) ha incendiato una chitarra sul palco...
-Tralascio le battute varie tra una canzone e l'altra.
-Il cd Brulè alla fine del concerto.
Unica pecca, se posso permettermi, è il fatto che molti brani "storici", come Servi della Gleba, Cara ti Amo, Cassonetto Differenziato e Burattino senza Fichi non hanno trovato spazio nella scaletta. Peccato, perché apparte il fatto che sono sempre molto belli da cantare, hanno tolto un bel po' di sano slap a Faso (che non fa mai male)... Ma vi assicuro che lo spettacolo è garantito lo stesso!
Bonjo
giovedì 26 giugno 2008
Quanto costa il mondo?
Costanza e gli altri hanno studiato vari ecosistemi e biomi, poi hanno moltiplicato il valore che veniva fuori per questo per tutta la loro estensione e li hanno sommati insieme. Da questo è venuto fuori che la Terra “smuove” una produzione di ben 16-56 trilioni di US$ (10 alla dodicesima!) l'anno, con una media di 33 trilioni US$ annui. Tutto a fronte di un prodotto interno lordo mondiale di circa 18 trilioni di US$ annui.
Si sono basati sui “servizi” che i vari ecosistemi terrestri svolgono per la Terra e che l'uomo sfrutta inserendo nella propria economia. Questi servizi hanno varie tipologie e vi vengono inserite anche le materie prime prodotte, anche queste intese come un servizio all'umanità. Alcuni esempi, particolarmente interessanti ai giorni d'oggi posso essere: la capacità di accumulare rifiuti; la capacità di assorbire CO2; la difesa da eventi devastanti... Ce ne sono tante categorie, 17 addirittura, molte delle quali sono servizi che autoalimentano il sistema. Una particolarità di questo studio è che pondera solo le risorse rinnovabili, quelle non rinnovabili non vengono nemmeno prese in considerazione. Allora anche le risorse rinnovabili sono poco rinnovabili? Sì, se stressiamo troppo un ecosistema ecco che questo non si rinnoverà.
Costanza si chiede anche quale sia il servizio che è più importante, e quale di questi se viene a mancare è più deleterio. Viene fuori che è di gran lunga il più importante, con un ordine di grandezza sopra gli altri, la “formazione del suolo”. E questo è vero, perchè senza suolo non ci sarà nessun ecosistema e senza nessun ecosistema nessun altro servizio reso all'uomo. Quindi la notizia più brutta che possiamo sentire al telegiornale dovrebbe essere la degradazione del suolo ad opera di attività umane...
Meditate gente meditate...
The value of the world’s ecosystem services and natural capital
Robert Costanza, Ralph d’Arge, Rudolf de Groot, Stephen Farberk, Monica Grasso, Bruce Hannon, Karin Limburg, Shahid Naeem, Robert V. O’Neill, Jose Paruelo, Robert G. Raskin, Paul Sutton & Marjan van den Belt
martedì 13 maggio 2008
Old Boiler Band
Sono stato a sentire in quel di Rosano (Bagno a Ripoli - FI) un gruppo che avevo già avuto l'onore e la possibilità di seguire in un'altra data quasi per caso: gli Old Boiler Band. Prima di gettarmi a capofitto negli elogi, volevo raccontare un pò la mia esperienza.
Come dicevo, il nostro primo incontro avvenne durante un concorso chiamato campanile rock, ove partecipava il mio maestro di basso. Tra i gruppi che si sfidavano, c'erano appunti gli OBB. Ora, come è risaputo, sono quattro le cose che mi fanno smattare in modo particolare: aeroplani della seconda guerra mondiale (non è questo il caso), libri in generale (neanche questo), bei bassi (e li ce n'era qualcuno carino, compreso quello del mio maestro :) e il film dei Blues Brothers.
Ebbene, figuratevi la mia reazione appena sento giungere alle mie incredule orecchie le prime note di She Caught The Katy! Meraviglia delle meraviglie! Se poi uniamo a questo la bellezza del basso e anche la perfezione di esecuzione, capirete che mi trovavo ad un passo dall'infarto. Quei quattro brani fuggirono con la velocità del vento, mentre io con gli occhini lucidi e le orecchie aguzze non perdevo un movimento, una nota di quello che stava accadendo intorno a me... Alla fine del concerto ebbi poi la possibilità di fare quattro chiacchiere con il cantante-chitarrista, ma la cosa fini li, almeno il primo atto... Qualche giorno dopo infatti, girovagando su internet, mi imbattei nel loro myspace e scopri con felicità che il sabato avrebbero suonato in un pub della zona. Si prende baracche e burattini e si parte. Ora posso descrivere quello che avvenne.
Il concerto è stato bellissimo e lunghissimo, più di due ore, ma il tempo sembrava veramente passato velocissimo. Gli OBB suonano rock-blues, e accanto a brani di artisti che conoscevo (J.J. Cale, Bob Dylan, Eric Clapton, Beatles, Elvis Presley, Jerry Lee Lewis) ce n'erano tanti altri di artisti semisconosciuti (per me ovvio!). Tutti i brani sono riarrangiati dal gruppo in modo impeccabile. La tecnica, almeno dal mio umilissimo punto di vista, rasenta la perfezione, con un bel walking bass che mi ha fatto sobbalzare il cuore ad ogni nota.
Il bello di questi concerti è poi il fatto che alla fine è sempre possibile scambiare due chiacchiere con i componenti del gruppo (che devo dire veramente molto disponibili). Da questo incontro è venuto fuori che:
1) la musica blues è praticamente sconosciuta alla maggior parte dei miei coetanei. Questo è un vero peccato, perchè in fin dei conti è il minimo comune denominatore anche a molti generi musicali di oggi, come il rock e tutti i suoi sottogeneri (dal rock classico al metal). Il blues non è una musica solo per gli "addetti ai lavori" cioè riservata soltanto a musicisti o chi capisce di musica e non è nemmeno una musica triste o lagnosa come di solito si crede. Sono emozioni, sentimenti, gioie e dolori impresse indissolubilmente a quella semplice struttura, cosi difficile però da eseguire bene. La cosa sconfortante era vedere il pub semi-deserto mentre i ragazzi fuori aspettavano l'inizio della "musica" disco.
2) Anche per chi suona trash-metal c'è la speranza, un giorno, di fondare un gruppo rock-blues.
3) Un giorno fonderò un gruppo rock-blues!
P.s. Mi rivolgo direttamente agli Old Boiler Band, casomai leggessero questo post... A nome di tutta la direzione aspettiamo anche una bella cover di Rory Gallagher!!
mercoledì 5 marzo 2008
Whisky Trail: "Celtic - Folk" all'italiana
Per chi non li conoscesse, gli Whisky Trail sono un gruppo fiorentino secondo me difficilmente identificabili in un genere musicale. Sono un'unione tra musica celtica irlandese-scozzesse-gallese con elementi folk provenienti sempre da oltremanica, ma inevitabilmente miscelati qui in Italia. In pratica, sono riusciti a rendere quella musica tipica del popolo celtico qualcosa di accessibile anche ad un pubblico non-celtico, traducendo suggestioni e miti di una terra che da sempre affida alla musica un ruolo centrale (oserei dire vitale), in qualcosa capace di emozionare tutti gli ascoltatori.
Ho assistito a 3 spettacoli degli Whisky Trail e tutte le volte mi emoziono sempre tantissimo. In realtà non posso definirli nemmeno spettacoli, perché è molto di più. Non solo lo spettatore ascolta, ma partecipa al concerto! Giulia, la cantante violinista, non si limita a suonare (tra l'altro in modo stupendo), ma quando i "suoi" attaccano con qualche ballata (o giga), lascia lo strumento sul palco e scende tra la gente per insegnare qualche ballo tradizionale!! Con un po' di coraggio (e un paio di Guinness nello stomaco) ho provato pure io che ho l'elasticità di un tronco di quercia, e tutte le volte mi sono divertito tantissimo (i piedi dei miei compagni di ballo meno!). Anche quando eravamo solo in 4 in un locale pieno di gente che batteva le mani, è stata un'emozione unica, davvero! Alla fine delle danze, Giulia, che ha ballato tutto il tempo con noi, insegnandoci i passi volta volta, si mette al centro e dice: "fate un bell'applauso ai ballerini" e noi, dopo l'inchino d'obbligo, ci rimettiamo a sedere pronti a scattare nuovamente al minimo cenno. Semplicemente FANTASTICO!!
Per quanto riguarda la musica, non posso dire niente, perché non va ascoltata, va vissuta! E' qualcosa che colpisce direttamente il cuore e l'anima, che ti porta in luoghi lontani e suggestivi.
Alla fine del concerto poi c'è la possibilità di scambiare due chiacchiere con i componenti del gruppo, farsi una foto e acquistare un loro cd, magari chiedendo un consiglio proprio agli autori.
Tutto questo si può racchiudere in un antico proverbio irlandese, che descrive appunto un pub dove, come quasi ogni sera, suona un qualche gruppo folk: "Qui non ci sono sconosciuti, ci sono solo amici che non si sono ancora mai incontrati".
sabato 16 febbraio 2008
Bartimeus (perché lui vale!)
Jonathan Stroud –
Ogni anno spendo una cifra che rasenta la follia in libreria. Sia perché ogni tanto mi piace leggere in inglese, e quindi pago di più, sia perché mi piace leggere punto e stop. Delle varie saghe, epopee e collane che ho seguito e sto seguendo nel tempo, una in particolare voglio trascinare per un attimo al centro del palcoscenico.
Si tratta di una storia fantasy, con protagonista un ragazzino inglese alle prese con la magia.
Suona familiare? Suona da sette libri di cui un paio sono mattoni e di cinque film da sbancare i botteghini? Beh, vi sbagliate.
Perché la storia di cui parliamo oggi è
A ruota seguono Kitty, ragazzina ribelle e per niente incline alla magia, vari spiriti ed entità magiche, maghi e politici (o entrambi) più o meno corrotti ed altro ancora.
Ma facciamo un passo indietro.
A Londra, in un periodo non ben precisato ma all'incirca in un XX° secolo diverso da come noi lo conosciamo, i maghi sono una sorta di casta ben inserita nella società, con i più importanti dei propri membri a gestire le strutture governative. La magia non si basa tanto su poteri sovrannaturali o esibizioni di bacchette, ma piuttosto sulla volontà individuale e sulla capacità di convocare "da un altro posto" spiriti e affini (notate prego che ci sono vari tipi di spiriti, molti dei quali vi staccherebbero la testa senza manco pensarci al solo sentirsi equiparare ai più infimi rappresentanti della categoria, quindi io non l'ho scritto e voi non l'avete letto) ai quali far eseguire il proprio volere, stando fermo il rispetto di alcune norme.
Tre fra tutte, mai rivelare il proprio nome - tanto che è usanza comune per i maghi cambiarlo non appena possibile, mai uscire dal pentacolo mentre si sta convocando l'entità in questione (che, comprensibilmente, non sarà mai soddisfatta nell'essere strappata dal proprio ambiente per andare a servire un omuncoletto) e, ragionevolmente, mai convocare spiriti che non si sanno gestire.
Va da sé che questo porta ad una sorta di gerarchia nei maghi, dai più potenti in grado di controllare decine di jinn, afrit e marid senza fatica ai trafficoni che si arrabattano ogni giorno con quei due-tre foliot che la sorte gli ha quasi per dispetto concesso.
E va da sé che quando ad uno di questi, un vecchiaccio pomposo, viene dato in affidamento il piccolo Nat con lo scopo di educarlo e farlo crescere come apprendista, le cose non possano che finir male.
L'inizio della fine si ha quando Nat, da bimbetto sveglio, curioso e in cerca d'affetto (e ancora simpatico, va detto), riceve dal suo maestro una “lezione di vita” destinata a segnarlo.
L'ira e la voglia di vendetta lo porteranno prima a sfruttare la sua sete di sapere per convocare il jinn Bartimeus (per il lettore, il punto d’inizio) per fargli rubare il potente amuleto di Samarcanda, poi a ritrovarsi in una serie di avventure che lo troveranno via via impegnato a lottare contro forze più grandi di lui, a venire a faccia con intrighi politici e maghi potenti, a conoscere la vita tapina dei “comuni” e i ribelli tesi a sovvertire lo strapotere dei maghi.
E proprio dai ribelli nel secondo libro spunta Kitty, la terza protagonista, schietta e delicata come una sberla in faccia e pronta a superare qualsiasi confine in nome dei suoi ideali, con la quale sia Nat sia Bartimeus avranno più di in incontro-scontro, e più di una tensione irrisolta.
Crescendo l’adolescente Nat, allevato in mezzo agli adulti nella visione per la quale i maghi sono nel giusto e chiunque altro nel torto, mostrerà tutta la sua schiettezza, la sua rigidità, la meschinità e la sete di potere di cui l’uomo è capace, mai riuscendo però a nascondere del tutto al lettore – che in forza di quello è portato a sopportarlo fino alla fine – il granello di buono che si porta dentro, fino all’exploit finale che non sta certo a me rovinare.
Nei tre libri che si seguono senza perdere il filo, con l'azione che si sposta di volta in volta a seguire i protagonisti, incontrastato agli occhi dei lettori è però il millenario Bartimeus, che si presenta come "colui che riedificò le mura di Uruk, di Karnak e di Praga, che parlò con Salomone, che corse nelle praterie insieme ai padri dei bufali, che sorvegliò l'Antico Zimbabwe fino a quando le pietre caddero e gli sciacalli banchettarono con le sue genti” ecc, che narra gli eventi da un punto di vista particolare (il suo) senza mai tralasciare piccoli commenti divaganti e saccenti che vengono inseriti come note a piè di pagina (un motivo bastante per leggere i libri), che mai e poi mai fa sfoggio di umiltà o pentimento ma poi, dovendo scegliere una forma umana nella quale incarnarsi, predilige quella di un ragazzino non più grande di Nathaniel che ha conosciuto tremila anni prima (una sorta di quarto protagonista, ma per saperne di più il terzo libro è necessario) e il cui legame con Nat e Kitty si evolve e si stringe col progredire degli eventi. Un personaggio divertente, la cui logica contorta non ammette sbagli da parte di chi lo comanda, le cui risposte sono a doppio se non a triplo taglio, le cui battute spiazzano e la cui nostalgia quasi commuove, che non si può non apprezzare.
E ora, mentre io mi fustigo a dovere per non saper rendere il giusto merito a dei libri che mi hanno appassionato, voi filate a leggere!
venerdì 8 febbraio 2008
Colori e musica di una terra ancora tutta da scoprire...
Irlanda... La prima sensazione che mi viene in mente sentendo questo nome è nostalgia, nostalgia per quelle meravigliose brughiere di color smeraldo e solitarie, per le scogliere a picco sull'Oceano, per la gente chiacchierona e simpatica, per i castelli diroccati in cima ad una rupe accarezzati dal vento umido dell'Atlantico, per quei colori fantastici, cosi accesi ma perennemente scintillanti per l'incessante pioggia, per la musica che fuoriesce da ogni angolo della strada... Eppure, prima di partire, la parola che associavo a questo nome era un'altra, più semplice e immediata: Birra!!(o Guinness se preferite).
L'idea di partire per l'Irlanda ci frullava in testa già da un pò di tempo. Alla fine fu decisa come meta per le meritate (?) ferie post-esame di stato. Quattro baldi giovani erano decisi a festeggiare l'avvenuta maturità nel migliore dei modi: due settimane a zonzo per la suggestiva isola di Erin, con tappe fisse per fare rifornimento di cibo ma, soprattutto, di bevande. L'idea era pazzesca; per una volta non saremmo stati noi a cercare il Pub, ma era il Pub che avrebbe trovato noi...
In realtà le cose andarono in maniera ben diversa...
E cosi ci mettemmo in viaggio. Partenza da Pisa, con scalo intermedio a Londra, precipitoso cambio aereo, e poi via verso Dublino (esattamente un anno dopo sarebbe stato inaugurato un volo diretto low cost Pisa-Dublino, la solita sfortuna).
Durata del viaggio due settimane. Per rendere più agevole la visualizzazione del percorso da noi effettuato ho fatto ricorso ai nostri potenti mezzi informatici (ed una buona dose di pazienza!), colorando le varie tappe del nostro viaggio descritte nei prossimi post in modo differente.
In rosso: Dublino e dintorni (compreso Glendalought e Powerscourt)
In blu: Kilkenny, Limerick e Rock Of Cashel
In verde: Galway e le Isole Aran
In giallo: Connemara e Cliff Of Moher
In rock: vedi un paio di post più in giù!
Naturalmente non penso che tale ordine verrà rispettato: da una parte perchè di cose da dire ce ne sono veramente tante (un unico post su Dublino sarebbe troppo riduttivo!), dall'altra perchè avevo pensato di aggiungere qualche curiosità, soprattutto per quanto riguarda la musica e la storia di quest'isola.
L'unico consiglio che mi sento di darvi prima di mettervi in viaggio è il seguente: comprate un bell'impermiabile, ne avrete davvero bisogno!!
P.S. Siccome siamo in tema, volevo spendere due righe per augurare al mio carissimo amico Marco un buon viaggio ed una buona permanenza per il suo soggiorno australiano, con una piccola raccomandazione: Occhio ai canguri!!!
Bonjo
sabato 2 febbraio 2008
Rugby 6 nazioni: 1° giornata
Irlanda 16 - Italia 11 Croke Park, Dublino 2 Febbraio 2006 ore 15:00
Partita emozionante, che per poco non ce ne regalava un'altra ancora più grande! L'Italia regge bene l'urto dei 15 irlandesi, che riescono a trovare i primi punti solo con un calcio piazzato all'11 minuto del solito O'Gara. 3 a 0. Nonostante i continui pericoli creati da bellissimi passaggi con i piedi sulle fasce laterali, la difesa azzurra tiene bene. Il problema è che non riusciamo mai ad oltrepassare la linea dei 22 metri avversaria. La testardaggine irlandese trova finalmente la meritata meta al 18, con una bellissima azione magistralmente conclusa da Dempsey. Il tutto condito dalla trasformazione di O'Gara. 10 a 0. Ma l'Italia non ci sta. Nonostante l'inferiorità numerica, gli azzurri trovano i primi 3 punti su calcio piazzato da Bortolussi. Si va negli spogliatoi sul 10 a 3.
Si riaprono le ostilità e subito altri 3 punti su calcio piazzato di O'Gara sembra chiudere l'incontro sul 13 a 3. Ma a questo punto, inizia la riscossa azzurra. Se da una parte gli Irlandesi hanno un grande gioco tecnico, dalla nostra abbiamo una forza d'urto che non regge confronto. E cosi, il carrettino (secondo me più che carrettino, carro armato) italiano sbriciola letteralmente la resistenza degli irlandesi e segna la prima meta, assegnata a Parisse dopo una prova tv infinita, che ha lasciato con il fiato sospeso i 6000 italiani presenti al Croke Park di Dublino (e anche i telespettatori a casa!). Purtroppo non riusciamo a concludere il calcio piazzato. 13 a 8. E la partita si riapre. O'Gara si dimostra un cecchino di prima categoria, altri tre punti su calcio piazziato a cui risponde però Bortolussi. 16 a 11. All'ottantesimo ultimo disperato attacco azzurro, che purtroppo si spegne contro il muro verde. Comunque una bellissima Italia, che è uscita da un incontro non facile a testa alta! Ora aspettiamo al Flaminio i delusi Leoni Inglesi domenica prossima a Roma.
Inghilterra 19 - Galles 26 Twickenam, Londra 2 Febbraio 2008 ore 17:30
E qui una sorpresa veramente enorme! Chi mai si sarebbe aspettato che i Dragoni Gallesi, usciti malconci da un mondiale abbastanza deludente, riuscissero a battere gli Inglesi a casa loro, nel tempio del rugby (il Twickenam), davanti a 76000 persone? Io personalmente non c'avrei scommesso una pinta di birra! E invece, dopo un inizio di partita diciamo prevedibile, dominato da un'Inghilterra che non lascia spazio al Galles (il primo tempo finisce sul 16 a 6 per i padroni di casa, che si vedono annullati dalla prova tv una meta vicino allo scadere), nel secondo periodo accade l'impensabile! Nonostante il calcio realizzato subito dopo il fischio di inizio, il Galles rialza la testa, dapprima con un calcio che riporta il punteggio sul 19 a 9. E a questo punto, l'Inghilterra crolla letteralmente. Dal 60° minuto fino alla fine è un continuo assalto dei Dragoni, che dapprima accorciano con un calcio (19 a 12), e poi realizzano ben 2 mete, con le rispettive realizzazioni, in tre minuti (19 a 26)! E cosi, dopo 20 anni, il Galles riesce ad espugnare il Twickenam. Partita veramente interessante e molto combattuta, soprattutto dal lato fisico.
Scozia 6 - Francia 27 Murrayfield, Edimburgo 3 Febbraio 2008 ore 15:50
I Galletti picchiano, ed anche molto duro! La formazione francese travolge letteralmente una Scozia senza grinta, senza speranza di aggiudicarsi l'incontro. Eppure l'inizio vede subito i padroni di casa in vantaggio con un drop che sblocca il punteggio sul 3 a 0, ma poco dopo (al 12 minuto) una bellissima azione porta i cugini d'oltralpe alla meta e successiva realizzazione. 3 a 7. Un calcio piazzato al 18 aumenta il divario tra le due formazioni. 3 a 10. E a questo punto i francesi cominciano a mostrare un bel gioco, privo di errori, al contrario degli scozzesi, che oltre a perdere una buona quantità di palloni, sbagliano anche un calcio piazziato. Al 23° ci mette lo zampino anche la fortuna. Calcio che supera la linea difensiva scozzese che pasticcia su un rimbalzo "anomalo". Di tutto questo ne approfitta Malzieu, che come una saetta afferra la palla nei pressi dell'aria di meta e la schiaccia a terra. La trasformazione va a segno, e il punteggio sale sul 3 a 17.
La Scozia accenna una timida reazione, e guadagna un fallo al 31°. Il drop stavolta va a segno, e la Scozia accorcia le distanze.Sul 6 a 17 e le squadre vanno negli spogliatoi.
Il secondo tempo è tutto dei Galletti. Si comincia con un calcio piazzato al 55° che porta lo score sul 6 a 20. Al 65° il colpo di grazia con la terza meta francese con Clerc. La realizzazione va a segno portando il risultato su un desolante 6 a 27. La Scozia prova a rendere almeno meno pesante la sconfitta, ma i continui errori, una buona difesa e un pizzico di sfortuna (a Paterson sfugge l'ovale nell'area di meta!) non permettono nemmeno questa consolazione.
Le prossime partite: Sabato Francia-Irlanda e Galles-Scozia. Domenica Italia-Inghilterra.
Bonjo
venerdì 1 febbraio 2008
Tanti Auguri Caffeine
giovedì 31 gennaio 2008
Dell'emo, o del perché devono essere tutti cecati da un occhio.
Ho sfiorato di striscio il periodo del grunge, quando il massimo era un maglione più grande di due taglie dalle maniche giù fino alla punta delle dita. Ammetto che non era sicuramente un bell'impatto visivo, ma almeno si stava gran comodi.
Ora invece, nelle mie due ore e più di pendolarismo quotidiano, mi ritrovo ad assistere impotente all’orda monotematica allo stato brado di jeans strizzatissimi con salsicciotti di panza in vista o peggio ancora portati giù giù sotto il sedere, e non posso non chiedermi perché devo assistere all'esibizione dell'intimo altrui e come si possa lasciare che un proprio figlio/fratello/amico/ecc. se ne vada in giro con l'andatura di un'oca al pascolo.
Immagino che bene o male un'immagine simile sia nella testa di tutti, anche se forse per buona parte di noi entra in azione quel meccanismo delizioso del cervello che possiamo riassumere in "rimozione".
Sono giovinetti in età puberale, con jeans dalla vita portata il più delle volte sotto il sedere (e no, non ho idea di come facciano a stare su), felpe incappucciate con fantasie a motivi ripetuti degne del peggior Escher, abbinamenti cromatici discutibili, occasionale smalto nero e, immancabile, un ciuffo di capelli più o meno lungo religiosamente tirato in avanti a coprire un occhio e uno soltanto con tanta gelatina da farcirci un cappone a Capodanno.
In una parola, un emo.
E che wikipedia e il web in generale, digitando le tre letterine, sull'argomento hanno da dire ben più di me. Ad esempio che il genere musicale da cui prendono il nome, e a cui in teoria si ispirano, è nato all’inizio degli anni ’80 come una versione un po’ più melodica dell’hardcore punk (ma prendetela con le pinze, più ho cercato più ho trovato informazioni contrastanti), che in successive ondate si è spostata sempre più verso il melodico/introverso/incompreso. Esempi di band attualmente in voga sono My Chemical Romance, Panic!at the Disco, Yellowcard e Tokio Hotel (stranamente noti più per le poche canzoni in inglese che per le numerosissime in tedesco).
Chiaro esempio di giovane dal comportamento emo potrebbe essere, per andare sul letterario e dare un certo tono alla conversazione, Harry Potter nel 5° libro della saga (HP e l’Ordine della Fenice) e, per chi lo ha visto, nel parallelo e omonimo 5° film (soprattutto la scena iniziale nel parco).
Di mio, alcune considerazioni.
Prima di tutto, spero che gli anni passino anche per loro.
Se noi nati negli anni ’80 abbiamo subito le infamie dei colletti bianchi ricamati (le femminucce), delle maglie con le spalle imbottite (sempre le femminucce), dei ciuffi e delle frange innalzati a colpi di lacca e gel armato a sfidare la gravità, dei pantaloni a vita altissima con le toppe e l’orlo alto a rivelare i calzini bianchi e ora con forte vergogna ci rivediamo nelle foto, non oso immaginare (o anche sì, mi voglio bene) cosa proveranno quei ragazzi e ragazze vedendosi a posteriori non solo in foto, ma nei filmati, nei loro account di facebook&myspace o chissà dove altro.
Poi, spero che in un sussulto di chiarezza si accorgano che le loro innovative Converse andavano di moda già quindici anni fa (ma poveri cari, non erano ancora nati, e come mai potrebbero saperlo? Internet, magari? Non ci avevo pensato…) e che fino a tre anni fa le si comprava a 20euri scarsi, che i tanto decantati leggins dentro i loro stivali altro non sono che i fuseaux degli anni ’80 (e come stavano bene a pochissime allora, stanno bene a pochissime anche adesso) e che la differenza fra “boutique del vintage” e “negozietto dell’usato” sta nel prezzo tanto quanto nella dose in cui se la tirano i/le rispettivi/e clienti.
Infine, se qualcuno di loro leggesse, una gentile richiesta: in treno ed in bus, in nome del cielo e magari di un po’ di buona educazione, sorridete un po’, tirate su i pantaloni e giù le scarpe dai sedili.
martedì 29 gennaio 2008
Il 6 Nazioni si vedrà!!

Ebbene si, è ufficiale!!! Il 6 nazioni 2008 di Rugby verrà trasmesso in chiaro da La7 a partire dal 2 Febbraio alle ore 15:00 con l'avvio della partitissima Irlanda-Italia! Che dire, dopo essere riusciti a toglierci i mondiali (ma per fortuna non l'interessantissima partita di calcio di serie c3 Ponticino-S.Ellero che è stata trasmessa su tutti i canali a pagamento e non con approfonditi dopo partita) almeno uno dei tornei più vecchi del nostro continente potrà essere visto anche da retrogradi che come me non hanno né sky né parabole di alcun tipo!Son troppo contento! La maglietta dell'Italia comprata l'anno scorso al Flaminio (prima dell'epocale Italia-Galles) è pronta... Non ci resta che augurare: Forza Azzurri!!!
sabato 26 gennaio 2008
The Italian Rover
Di solito, come tutti i mortali, le vacanze propriamente dette (cioè quelle che in genere durano più di un fine settimana) si addensano specialmente durante le ferie estive. Durante questo periodo ho avuto la possibilità di visitare posti veramente meravigliosi: dalle struggenti scogliere a picco sull'Oceano Atlantico in Irlanda, alle mura assolate dell'Alhambra moresca in Spagna, passando per una faticosa ma suggestiva scalata dei Monti Tatra in Polonia.
Forse per qualcuno le nostre non possono nemmeno essere considerate vacanze, dal momento che giriamo come matti dalla mattina alla sera, visitando musei, chiese, monumenti e strade al limite delle capacità umane (a volte anche superandole, con risultati disastrosi!), ma per noi è una cosa normale essere turisti "attivi", cioè non limitarci ad osservare un luogo, ma conoscerlo il più possibile, tramite la sua storia, le sue particolarità e le sue usanze, senza dimenticare il lato allegro e divertente che queste esperienze portano irrimediabilmente con se. Sia ben chiaro, comunque, che non ho niente contro quelli che se ne stanno beatamente a prendere il sole in spiaggia, perché di solito dopo essere tornati da una delle nostre gite, anche noi abbiamo bisogno di un bel periodo di riposo al mare (dato che torniamo molto più stanchi di quando siamo partiti, ed anche più magri, ma questa è un'altra storia...)!
Le mete delle nostre 3 gite estive sono state nell'ordine: Irlanda nell'estate della maturità liceale raggiunta (con molti dubbi!) nel 2005, in Polonia per intercessione della nostra guida Italo-Polacca nel 2006 e in Spagna nel 2007. Tutti questi viaggi sono stati ricchi di avvenimenti e di piacevoli scoperte, anche se, con poco tempo a disposizione, è stata una vera e propria gara contro il tempo. Una cosa molto importante nella buona riuscita della vacanza sono stati sicuramente i miei compagni di viaggio, che hanno una visione molto simile alla mia e che non si sono mai tirati indietro di fronte agli immancabili inconvenienti e difficoltà.
L'idea generale di questa nuova sezione era quella di descrivere brevemente i luoghi da me visitati, magari (grazie all'utilizzo delle nostre tecniche all'avanguardia) tracciando il percorso dei nostri vagabondaggi. Per descrizione non intendo una spiegazione di tipo scolastico (le guide che ci portiamo appresso servono proprio a questo!), ma semplicemente un'idea, un ricordo personale o un'emozione che mi ha trasmesso un determinato paesaggio, un castello o un quadro in una galleria d'arte. Come sempre poi invito tutti quanti a fare la stessa cosa, anche perché per quest'anno ancora non abbiamo deciso la meta delle nostre vacanze e per questo qualche suggerimento è sempre ben accetto!
Bonjo
sabato 19 gennaio 2008
Chewing a Bubblegum
Carillon. Così comincia Bubblegum. Un carillon. Minimalista come solo Mark Lanegan riesce a essere. Il carillon stacca, lascia il posto alla musica; subito la voce roca, profonda di Lanegan esce dalle casse "Did you call for the night porter? You smell the blood running warm...". When Your Number Isn't Up: questo è l'inizio di uno degli album più belli che abbia mai ascoltato, un album che mi accompagna negli ultimi due mesi.
Album ricco di collaborazioni illustri, primo tra tutti Greg Dulli (Afgan Wings), poi Duff McKagan e Izzy Stradlin (Guns and Roses) e infine, ma certamente non ultima PJ Harvey, al secolo Polly Jane Harvey, eccentrica e geniale musicista inglese, che condisce con la sua voce, secondo me paradisiaca, le canzoni Hit The City e Come To Me. Bubblegum fu registrato nel 2003, a seguito del lungo e estenuante tour con i QOTSA, ma uscì solo nell'agosto del 2004. Sonorità diverse dai precedenti album rendono l'album forse più ascoltabile, più accessibile per il pubblico, ma come sempre (e per fortuna) non mancano momenti meditativi e di poesia oscura.
Il secondo brano è Hit The City. Non voglio dire nulla, guardatevi il video. Non trovo le parole.
Wedding Dress, la seconda traccia, una ballata, che preannuncia soltanto il sincopatico ritmo di Methamphetamine Blues. Forse la mia preferita di tutto l'album. Se dovessi un giorno masticare della metamfetamina sono sicuro che la sensazione non può che essere quella. Folle quanto basta per farmela piacere al primo ascolto: sporca, veloce, ripetitiva, sono i tre aggettivi che meglio la caratterizzano.
Il contrario, molto più melodica e rassicurante, risulta invece le quinta traccia: One Hundred Days. Mark tiene incollato alle casse, presentando tracce sempre diverse, ognuna che richiama all'ascoltatore altri autori, e di nuovo cambia con la sesta, Bombed, una poesia acustica, accompagnato di nuovo dalla voce di PJ.
Non riesco ancora a capire perchè, ma le settima, Strange Religion mi dà l'idea di un viaggio, sicuramente sarebbe una delle tracce che metterei nel cd intitolato "Ruote 66" (sì, è uno dei miei sogni, coast to coast sulla mitica Route 66).
Sideways In Reverse è invece la traccia che ricorda i mitici Screaming Trees, e che mi riporta indietro nel tempo fino alla mia, ormai lontana, terza superiore. Subito dopo torna la voce femminile di PJ Harvey, in una canzone che può essere il parallelo tra il sesso e la musica. Le due voci si fondono in una sola, in un concerto perfetto di sensualità.
Di nuovo una ballata con Like Little Willie John, per poi tornare alle laneganiane Can't Come Down e Morning Glory Wine. Se mi piace Mark Lanegan c'è un motivo, e queste due canzoni me lo ricordano più forte che mai!
Geniale è Head, canzone che non riesco bene a inquadrare, e forse è proprio questo il motivo che me la fa adorare. Sembra quasi pop, ma non lo è; non saprei davvero.
Segue, al quattordicesimo posto di questo fantastico album una seconda traccia che ci ricorda i QOTSA, al pari di Methamphetamine Blues, ed è Driving Death Valley Blues.A me non ricorda solo loro, mi fa venire in mente anche, e forse anche di più, per la seconda volta, gli Screaming Trees. Sarò malato...
Ultima a chiudere questo fantastico album, la quindicesima canzone: Out Of Nowhere. Di nuovo il marchio di fabbrica Lanegan si fa sentire e chiude l'album con un ritorno al suo stile classico.
Che dire alla fine di questa lunga, e molto probabilmente noiosa, cavalcata attraverso quest'album magnifico? Sinceramente non saprei, posso solo dire che a me è piaciuto tantissimo. Mai noioso, sono riuscito ad ascoltarlo per tantissimo tempo: non posso fare altro che consigliarlo a tutti coloro che amano il rock, e che sicuramente non possono perdersi questo lavoro.
venerdì 18 gennaio 2008
In Rock
EMI 1970
Tracklist1) Speed King
2) Bloodsucker
3) Child In Time
4) Flight Of The Rat
5) Into The Fire
6) Living Wreck
7) Hard Lovin' Man
Line-up
Ian Gillan - voce
John Lord - tastiere
Ritchie Blackmore - chitarra elettrica
Roger Glover - basso
Ian Paice - batteria
Premetto subito che In Rock è stato quasi una folgorazione: prima conoscevo i Deep Purple solo come gli autori di Smoke On The Water, ma siccome sentivo tanto parlare di questi Deep, mi sembrava un tantino strano che tutto il loro successo fosse dovuto ad una sola canzone... In realtà, come avrei scoperto di lì a poco, Smoke On The Water è solo un puntino nella lunga carriera musicale di questo gruppo che dal 1969 porta ancora in giro per il mondo il suo rock...
Senza entrare nei meriti di questo disco (non per fare un omaggio alla concorrenza, ma sul web c'è di tutto e di più!) vorrei solo descrivere quello che rappresenta per me In rock e descrivere brevemente le traccie presenti al suo interno, magari facendo qualche considerazione in più sul basso elettrico, cosi almeno sarò ufficialmente fucilato sulla pubblica piazza :)
Pronti allora bimbi a rocckeggiare?
Dopo aver trovato l'album in questione (cosa non molto difficile, lo vendono anche in panetteria penso) subito l'ho inserito nel mio amatissimo lettore immaginando chissà quali riff granitici e distorti, premo play e... Caos allucinante! dalle casse esce un frastuono infernale, un'orgia di strumenti, un'onda d'urto che colpisce e distrugge tutto ciò che trova sul suo percorso (ma è l'inizio o la fine dell'album mi chiedo perplesso), ma poi tutto si calma e una tastiera (uscita chissà da dove) sembra riportare l'ordine e stabilisce quasi un'atmosfera da sogno...Ed ecco un consiglio che mi sento di darvi un po' per esperienza: se tenete alla cristalleria di mamma o, più in generale, se tenete alla mamma, non alzate troppo il volume per sentire questo dolce accompagnamento (lo so che tenta da morire ma non lo fate!), perché pochi secondi dopo, suona la sveglia!!! E via, a tutta velocità!!!. Ecco che cos'è per me l'Hard Rock: Speed King. Non c'è brano che mi ha fatto scattare dalla sedia come questo, che mi agita sempre dal profondo, spingendomi a saltare per la stanza. Come inizio non c'è male!
Subito dopo, per cercare di riportare la calma, inizia la blueseggiante (si dice cosi?) Bloodsucker: ed ecco sfornato un altro capolavoro. Molto divertente da suonare con il basso, presenta la tipica struttura blues, ma con velocità e suono tipicamente rock (in genere l'hard-rock è una soluzione solida tra questi due estremi: scusate l'esempio naturalistico ma non sapevo come spiegarlo! Per chi non lo conoscesse, ci penserà Agron, che con cortesia e disponibilità, farà chiarezza! N.d.a. beccati sta palla Agron!).
E arriviamo cosi alla terza traccia: descrivere Child In Time come un brano è una cosa troppo riduttiva (è come dire che le piramidi sono solo tombe di gente che non c'è più...) e quindi lascerò in sospeso il mio giudizio. Una cosa è certa: la ballata è da sempre il banco di prova di tutti i gruppi rock, ed è qui che si distinguono quelli veramente grandi e a me solo l'introduzione di tastiera mi fa venire la pelle d'oca, figuriamoci poi quando entra la voce di Gillan con i suoi acuti cosi onirici ed eterei, senza contare l'apoteosi che si raggiunge con l'assolo centrale (meno male che "sospendevo il giudizio",ma non ce l'ho fatta ad essere cosi stoico!). Comunque dovete ascoltarla come compito per casa! (mi ringrazierete poi, o almeno spero)
Flight Of The Rats sembra dare la sveglia a coloro che sono ancora confusi per la traccia appena conclusa, li scuote e li riporta alla realtà. Pura velocità e potenza. In altre parole, puro Hard Rock.
Passiamo poi a Into The Fire, un brano forse un po' sottotono rispetto agli altri (non dico mal riuscito, ma per me semplicemente non può competere con quelli sopra citati). Comunque scorre via tranquillamente.
La penultima traccia è Living Wreck. Il punto di forza di questo brano secondo me è il ritornello: semplice ma molto efficace.
Ed infine, un pezzo quasi sperimentale: Hard lovin man. Tiratissimo dall'inizio alla fine, assomiglia quasi ad una lunga cavalcata, costellata da ricami di tastiera e acuti di Gillan che paiono intrecciarsi. E in conclusione uno sferragliare di chitarra che sembra richiamare l'inizio dell'album. Non c'era miglior modo di chiudere in bellezza!
Un ultimo appunto lo vorrei fare sulla registrazione dell'album, che si può considerare abbastanza scadente rispetto a quelle fatte oggi...Ebbene, io trovo in tutto questo un altro punto di forza! Sentire gli amplificatori che sembrano sempre sul punto di esplodere, sparati a tutto volume e inadatti a simile forza e potenza, conferisce all'album un suono duro, grezzo, tagliente ma soprattutto essenziale, che non ha bisogno di tante modifiche, tanti abbellimenti. E' il Rock come dovrebbe essere: duro e puro.
Bonjo
venerdì 4 gennaio 2008
Eco-bio, l'ecologico sulla pelle
Notando nel numero di ieri di VF un’ammissione di colpa da parte del direttore non ho potuto fare a meno di sorridere.
E mi sono ricordata di tutte le contraddizioni che vedo ogni giorno. Simpatiche signore all’avanguardia che mai e poi mai rinuncerebbero allo yoga, o al pilates, o allo shopping al mercatino equo-solidale ma non sanno staccarsi dalla pelliccia che le copre da capo a piedi perché, beh, “è di famiglia”. Insopportabili piattole che in mensa bloccano la fila aspettando il loro piatto vegetariano/vegano e poi se ne vanno contente a mangiare, ciabattando con le loro prada 100% pura pelle di vitello slacciate e la borsa di marca (scegliete voi quale) e, ovviamente, di pelle, a tracolla . Evidentemente, mi dico spesso in questo caso, uccidere animali per mangiarseli è nella scala cosmica del bene e del male molto più grave che non farlo per ricavarne la soddisfazione di indossare un pezzo di moda.
Tornando a me, a noi, a voi (via, avete capito), dal cibo alla pelle il salto è stato breve (Fermi lì: non sto per fare un trattato di cosmetica. Promesso).
Aldilà di veri e finti vegetariani, è innegabile che l’atteggiamento verso quello che mangiamo sta cambiando, tanto che perfino molte catene di iper- e supermercati hanno lanciato, chi prima chi dopo, proprie linee di prodotti alimentari bio con l’intento di non perdere i propri clienti.
Ma com’è che poi, dopo aver speso metà dello stipendio in prodotti che riteniamo più sani, più buoni, ecc ecc, dopo aver letto l’ultimo articolo su bio-architettura e bio-edilizia, raramente rivolgiamo la stessa attenzione a quello che ci mettiamo addosso?
Seguitemi un attimo in un esempio. Provate a ricordare quella pubblicità di una volta con un’avvenente fanciulla che veniva, diciamo così, rinchiusa in una doccia (e poi? Affogava? Si salvava? Mai saputo…) da una spalmata bianca di Silicone Sigillante. Bene, pensate ora che contenenti siliconi sono le cremine più reclamizzate ultimamente, i trucchi che qualcuno si mette e qualcuno si ritrova sui vestiti, gli shampoo e balsami che curano (tsè) la vostra lunga/corta/folta/rada chioma, ecc. Ora, uniamo le due cose. Se sulla doccia il Silicone era Sigillante, che effetto potrà mai avere su di noi?
Esatto. Una cortina, un film, come vi pare, che all’apparenza leviga e setifica e via dicendo, in realtà non fa che mascherare i problemi senza risolverli.
Altre porcherie con cui veniamo a contatto senza saperlo sono conservanti che rilasciano formaldeide (in certi dentifrici, fra i quali una versione della Pasta del Capitano) e derivati del petrolio in tali e molteplici forme da sfidare un camaleonte, come un solvente, usato anche come antigelo per automobili, in gel e saponi (il suo nome, ci sta, è Propilene Glycol). Ma in effetti, tempestati come siamo da pubblicità, campioncini prova e consigli della massaia di turno, sfido chiunque a porsi di sana pianta il dubbio “Ma l’Olio Baby Johnson che mi spalmavano addosso da piccolo avrà mica fatto male?” (la risposta è sì: è paraffinum liquidum – olio di vaselina – e poco altro, pari pari al liquido per le lanterne ad olio).
In soccorso del malcapitato cliente, purtroppo, c’è solo la lista degli ingredienti, per i cosmetici e prodotti per il corpo INCI: incomprensibile e indecifrabile se non per il principio che vuole gli ingredienti scritti in ordine decrescente di abbondanza.
Come sapere, però, se l’INCI del nostro beneamato shampoo (o detersivo) è una schifezza? La soluzione più breve è cercare nel sito del Biodizionario, dove buona parte dei possibili ingredienti sono catalogati con i colori del semaforo. Il verde è assegnato a quei composti, per buona parte naturali, innocui (non so se dire “non nocivi”) non solo per l’uomo, ma anche per l’ambiente e un prodotto con una lista di ingredienti verde, o verde-gialla (ma i gialli in fondo alla lista) viene definito eco-bio, abbreviazione per ecologico e biologico.
Dopo avere gironzolato un po’ in quel e in altri siti, controllando gli INCI di quel che avevo per casa, posso rassicuravi: il rosso semaforico è ovunque. E nel rosso si trovano appunto derivati del petrolio ma anche siliconi, volatili o meno (a seconda della grandezza della molecola, ma qui le mie conoscenze si fermano) e molecole innocue per l’uomo ma tossiche e inquinanti una volta giunte in acqua come il tetrasodium-EDTA che rende disponibili i metalli pesanti nelle acque, andando a intossicare la fauna marina (e chi se la mangia) e altro ancora.
Per fare un esempio (e offrire una panoramica degli armadietti del bagno di casa mia) sono a bollino rosso shampoo e balsamo Pantene ed Elvive de L’Oreal, il burrocacao di Avène (preso in farmacia e garantitissimo nella sua dolcezza) come pure la crema mani, un paio di prodotti Just, la classica Nivea, il Cif, l’Infasil verde-e-rosa, il Labello (ebbene sì) e, un mito che crolla per chi come me è cresciuto vedendo la nonna che se la metteva, l’Acqua distillata di rose della Roberts. I detersivi… serve davvero che lo dica?
Di certo, vale la regola del “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” visto che perfino marche in cui siamo portati a confidare, vuoi per il “buon nome”, vuoi per l’immagine che presentano, celano scheletri nell’armadio. È il caso di aziende “eco-furbe” come Bottega Verde, Lush e L’Erbolario (ma anche I Provenzali) che approfittando vuoi di una rinomata fama “verde”, vuoi di un’azzeccata strategia di marketing, ad un certo numero di prodotti eco-bio ne affiancano molti di più dalla composizione che lascia basiti, presentando componenti “a bollino rosso” già nei primi posti della lista.
La conclusione del post? In rete si trovano svariati siti dove scoprire non solo INCI già belli identificati in tutti i loro colori, ma anche consigli e trucchi per cambiare, magari di poco, le proprie abitudini (mai provato l’aceto al posto dell’ammorbidente?). E chi ha provato gli eco-bio afferma di non essersi pentito, suscitando nella sottoscritta non poche tentazioni.
Link utili:
http://www.biodizionario.it/
http://www.saicosatispalmi.org/
http://lola.forumup.it/
