Il 16 giugno Mario Rigoni Stern è morto a 86 anni, ha "lasciato le sue ossa" nelle "sue montagne" ad Asiago, circondato solo, e direi anche giustamente, dalla sua famiglia.
In questo post avevo pensato di fare qualche misera considerazione personale sull'opera più diffusa dello scrittore, ma poi ho ritenuto la cosa del tutto inutile perché non so nemmeno se, escluso forse nelle scuole vicentine, si faccia leggere ancora Il sergente nella neve.
Se il mio timore fosse fondato, prima ancora di preoccuparsi dei contenuti del libro, ci sarebbe da domandarsi: a chi serve "la memoria"? Che senso hanno tutte quelle date fissate in ricordo di avvenimenti significativi, spesso tragici, come il 27 gennaio, il 25 aprile o il 10 febbraio, se molti ragazzi, usciti dalle superiori, sanno vagamente cosa è successo nella prima metà del Novecento e conoscono la seconda metà solo attraverso i romanzi di spionaggio (ad essere ottimisti).
Per chi sono quelle ricorrenze, per mio nonno? Che quasi non si ricorda più come si chiama, ma sa raccontare i giorni di prigionia come se fossero stati ieri. Per i morti? Che continuano ad essere prodotti per le stesse identiche ragioni. Per noi? Che così ci facciamo un giorno di festa o più di uno, se abbiamo il culo di infilarci un ponte.
Ovviamente non so dare una risposta, quello che so è che le date servono a poco, sono una facciata e se non c’è di mezzo una vacanza si dimenticano subito dopo averle sentite. Un libro come quello scritto da Rigoni Stern (e come altri finiti nel dimenticatoio), invece, serve a molto: serve a capire meglio quello che freddamente ci riferisce il manuale di storia; serve come punto di partenza per chi ha sentito nominare spesso la Seconda Guerra Mondiale, ma l’ha studiata negli ultimi sette giorni di scuola solo perché: “Cazzo, che gli racconto all’esame?”; serve perché non spiega le cause e le ideologie che stanno dietro agli avvenimenti dell’epoca, ma racconta un’esperienza nuda e cruda che, forse, può istillare nel lettore la voglia di sapere di più riguardo a quelle circostanze.
Per concludere il mio solito sproloquiare voglio ricordare anche l’opera teatrale dal titolo “Il Sergente” di Marco Paolini, così ben fatta e sentita da riuscire a convincere Mario Rigoni Stern ad assistere di persona allo spettacolo, scendendo, forse per l’ultima volta, dalle sue amate montagne.
1 commento:
Lo spettacolo di Paolini è a tratti raggelante, nei momenti in cui più si avvicina a far capire la lotta - non solo contro il "nemico", ma contro tutta una natura avversa - sostenuta dai soldati italiani per tornare a casa.
Ma oltre a "Il sergente nella neve" (sì, in molte scuole venete lo si fa leggere ancora)si potrebbero consigliare anche, vado a memoria, "Il bosco degli urogalli" e "Arboreto selvatico" per apprezzare l'amore e il rispetto per l'ambiente di una persona che era tutt'uno con il suo altipiano.
Grazie C. per averci pensato.
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