venerdì 4 gennaio 2008

Eco-bio, l'ecologico sulla pelle

Guardando la pubblicità di un giornale, un po’ di tempo fa, mi sono resa conto di quanto anche nelle piccole cose si predichi bene e razzoli male. Il giornale in questione, un numero di dicembre di Vanity Fair (e sì, io leggo VF), aveva pubblicato un breve articolo contro l’utilizzo del foie gras, motivandolo con il trattamento inflitto alle oche per farle ingrassare e per ottenere la tanto sospirata prelibatezza gastronomica. A poche pagine di distanza, una lussuosa pubblicità invitava a pasteggiare durante le feste con la stessa ghiottoneria e in fondo al giornale, nelle pagine dedicate alla cucina, una ricetta spiegava nel dettaglio come e quando usarla. Bell’autogol, non c’è che dire.
Notando nel numero di ieri di VF un’ammissione di colpa da parte del direttore non ho potuto fare a meno di sorridere.

E mi sono ricordata di tutte le contraddizioni che vedo ogni giorno. Simpatiche signore all’avanguardia che mai e poi mai rinuncerebbero allo yoga, o al pilates, o allo shopping al mercatino equo-solidale ma non sanno staccarsi dalla pelliccia che le copre da capo a piedi perché, beh, “è di famiglia”. Insopportabili piattole che in mensa bloccano la fila aspettando il loro piatto vegetariano/vegano e poi se ne vanno contente a mangiare, ciabattando con le loro prada 100% pura pelle di vitello slacciate e la borsa di marca (scegliete voi quale) e, ovviamente, di pelle, a tracolla . Evidentemente, mi dico spesso in questo caso, uccidere animali per mangiarseli è nella scala cosmica del bene e del male molto più grave che non farlo per ricavarne la soddisfazione di indossare un pezzo di moda.

Tornando a me, a noi, a voi (via, avete capito), dal cibo alla pelle il salto è stato breve (Fermi lì: non sto per fare un trattato di cosmetica. Promesso).
Aldilà di veri e finti vegetariani, è innegabile che l’atteggiamento verso quello che mangiamo sta cambiando, tanto che perfino molte catene di iper- e supermercati hanno lanciato, chi prima chi dopo, proprie linee di prodotti alimentari bio con l’intento di non perdere i propri clienti.
Ma com’è che poi, dopo aver speso metà dello stipendio in prodotti che riteniamo più sani, più buoni, ecc ecc, dopo aver letto l’ultimo articolo su bio-architettura e bio-edilizia, raramente rivolgiamo la stessa attenzione a quello che ci mettiamo addosso?

Seguitemi un attimo in un esempio. Provate a ricordare quella pubblicità di una volta con un’avvenente fanciulla che veniva, diciamo così, rinchiusa in una doccia (e poi? Affogava? Si salvava? Mai saputo…) da una spalmata bianca di Silicone Sigillante. Bene, pensate ora che contenenti siliconi sono le cremine più reclamizzate ultimamente, i trucchi che qualcuno si mette e qualcuno si ritrova sui vestiti, gli shampoo e balsami che curano (tsè) la vostra lunga/corta/folta/rada chioma, ecc. Ora, uniamo le due cose. Se sulla doccia il Silicone era Sigillante, che effetto potrà mai avere su di noi?
Esatto. Una cortina, un film, come vi pare, che all’apparenza leviga e setifica e via dicendo, in realtà non fa che mascherare i problemi senza risolverli.
Altre porcherie con cui veniamo a contatto senza saperlo sono conservanti che rilasciano formaldeide (in certi dentifrici, fra i quali una versione della Pasta del Capitano) e derivati del petrolio in tali e molteplici forme da sfidare un camaleonte, come un solvente, usato anche come antigelo per automobili, in gel e saponi (il suo nome, ci sta, è Propilene Glycol). Ma in effetti, tempestati come siamo da pubblicità, campioncini prova e consigli della massaia di turno, sfido chiunque a porsi di sana pianta il dubbio “Ma l’Olio Baby Johnson che mi spalmavano addosso da piccolo avrà mica fatto male?” (la risposta è sì: è paraffinum liquidum – olio di vaselina – e poco altro, pari pari al liquido per le lanterne ad olio).

In soccorso del malcapitato cliente, purtroppo, c’è solo la lista degli ingredienti, per i cosmetici e prodotti per il corpo INCI: incomprensibile e indecifrabile se non per il principio che vuole gli ingredienti scritti in ordine decrescente di abbondanza.
Come sapere, però, se l’INCI del nostro beneamato shampoo (o detersivo) è una schifezza? La soluzione più breve è cercare nel sito del Biodizionario, dove buona parte dei possibili ingredienti sono catalogati con i colori del semaforo. Il verde è assegnato a quei composti, per buona parte naturali, innocui (non so se dire “non nocivi”) non solo per l’uomo, ma anche per l’ambiente e un prodotto con una lista di ingredienti verde, o verde-gialla (ma i gialli in fondo alla lista) viene definito eco-bio, abbreviazione per ecologico e biologico.
Dopo avere gironzolato un po’ in quel e in altri siti, controllando gli INCI di quel che avevo per casa, posso rassicuravi: il rosso semaforico è ovunque. E nel rosso si trovano appunto derivati del petrolio ma anche siliconi, volatili o meno (a seconda della grandezza della molecola, ma qui le mie conoscenze si fermano) e molecole innocue per l’uomo ma tossiche e inquinanti una volta giunte in acqua come il tetrasodium-EDTA che rende disponibili i metalli pesanti nelle acque, andando a intossicare la fauna marina (e chi se la mangia) e altro ancora.
Per fare un esempio (e offrire una panoramica degli armadietti del bagno di casa mia) sono a bollino rosso shampoo e balsamo Pantene ed Elvive de L’Oreal, il burrocacao di Avène (preso in farmacia e garantitissimo nella sua dolcezza) come pure la crema mani, un paio di prodotti Just, la classica Nivea, il Cif, l’Infasil verde-e-rosa, il Labello (ebbene sì) e, un mito che crolla per chi come me è cresciuto vedendo la nonna che se la metteva, l’Acqua distillata di rose della Roberts. I detersivi… serve davvero che lo dica?

Di certo, vale la regola del “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” visto che perfino marche in cui siamo portati a confidare, vuoi per il “buon nome”, vuoi per l’immagine che presentano, celano scheletri nell’armadio. È il caso di aziende “eco-furbe” come Bottega Verde, Lush e L’Erbolario (ma anche I Provenzali) che approfittando vuoi di una rinomata fama “verde”, vuoi di un’azzeccata strategia di marketing, ad un certo numero di prodotti eco-bio ne affiancano molti di più dalla composizione che lascia basiti, presentando componenti “a bollino rosso” già nei primi posti della lista.

La conclusione del post? In rete si trovano svariati siti dove scoprire non solo INCI già belli identificati in tutti i loro colori, ma anche consigli e trucchi per cambiare, magari di poco, le proprie abitudini (mai provato l’aceto al posto dell’ammorbidente?). E chi ha provato gli eco-bio afferma di non essersi pentito, suscitando nella sottoscritta non poche tentazioni.

Link utili:
http://www.biodizionario.it/
http://www.saicosatispalmi.org/
http://lola.forumup.it/


1 commento:

Unknown ha detto...

articolo interessantissimo, mi ha fatto sorridere leggere delle tue riflessioni sulla lettura di vanityfair...l'ipocrisia dilaga!