giovedì 31 gennaio 2008

Dell'emo, o del perché devono essere tutti cecati da un occhio.

Ci sono delle volte in cui mi sento fin troppo in là con l'età. Quando mi rendo conto di non conoscere il cartone animato di cui tutti i bimbi parlano, o quando in treno e in giro vedo ragazzini bardati in un modo in cui io non lascerei conciarsi nemmeno il mio peggior nemico. O forse sì, giusto per il gusto di vederlo.
Ho sfiorato di striscio il periodo del grunge, quando il massimo era un maglione più grande di due taglie dalle maniche giù fino alla punta delle dita. Ammetto che non era sicuramente un bell'impatto visivo, ma almeno si stava gran comodi.
Ora invece, nelle mie due ore e più di pendolarismo quotidiano, mi ritrovo ad assistere impotente all’orda monotematica allo stato brado di jeans strizzatissimi con salsicciotti di panza in vista o peggio ancora portati giù giù sotto il sedere, e non posso non chiedermi perché devo assistere all'esibizione dell'intimo altrui e come si possa lasciare che un proprio figlio/fratello/amico/ecc. se ne vada in giro con l'andatura di un'oca al pascolo.

Immagino che bene o male un'immagine simile sia nella testa di tutti, anche se forse per buona parte di noi entra in azione quel meccanismo delizioso del cervello che possiamo riassumere in "rimozione".
Sono giovinetti in età puberale, con jeans dalla vita portata il più delle volte sotto il sedere (e no, non ho idea di come facciano a stare su), felpe incappucciate con fantasie a motivi ripetuti degne del peggior Escher, abbinamenti cromatici discutibili, occasionale smalto nero e, immancabile, un ciuffo di capelli più o meno lungo religiosamente tirato in avanti a coprire un occhio e uno soltanto con tanta gelatina da farcirci un cappone a Capodanno.
In una parola, un emo.

Ora, lo so bene che non dovrei sparare su vittime inermi e via dicendo.
E che wikipedia e il web in generale, digitando le tre letterine, sull'argomento hanno da dire ben più di me.
Ad esempio che il genere musicale da cui prendono il nome, e a cui in teoria si ispirano, è nato all’inizio degli anni ’80 come una versione un po’ più melodica dell’hardcore punk (ma prendetela con le pinze, più ho cercato più ho trovato informazioni contrastanti), che in successive ondate si è spostata sempre più verso il melodico/introverso/incompreso. Esempi di band attualmente in voga sono My Chemical Romance, Panic!at the Disco, Yellowcard e Tokio Hotel (stranamente noti più per le poche canzoni in inglese che per le numerosissime in tedesco).
Il comportamento caratteristico degli emo, che sia influenzato dalla musica o dalla moda non è ben chiaro, secondo i maligni si manifesta – soprattutto in ambienti pubblici tipo il treno delle sette – con il tipico atteggiamento da Calimero che li porta a sentirsi come, appunto, elementi estranei in questo mondo crudele che nulla fa per andar loro incontro e che ricambiano incassando la testa fra le spalle ingobbite e guardandolo storto da sotto il ciuffone.
Chiaro esempio di giovane dal comportamento emo potrebbe essere, per andare sul letterario e dare un certo tono alla conversazione, Harry Potter nel 5° libro della saga (HP e l’Ordine della Fenice) e, per chi lo ha visto, nel parallelo e omonimo 5° film (soprattutto la scena iniziale nel parco).

Di mio, alcune considerazioni.
Prima di tutto, spero che gli anni passino anche per loro.
Se noi nati negli anni ’80 abbiamo subito le infamie dei colletti bianchi ricamati (le femminucce), delle maglie con le spalle imbottite (sempre le femminucce), dei ciuffi e delle frange innalzati a colpi di lacca e gel armato a sfidare la gravità, dei pantaloni a vita altissima con le toppe e l’orlo alto a rivelare i calzini bianchi e ora con forte vergogna ci rivediamo nelle foto, non oso immaginare (o anche sì, mi voglio bene) cosa proveranno quei ragazzi e ragazze vedendosi a posteriori non solo in foto, ma nei filmati, nei loro account di facebook&myspace o chissà dove altro.
Poi, spero che in un sussulto di chiarezza si accorgano che le loro innovative Converse andavano di moda già quindici anni fa (ma poveri cari, non erano ancora nati, e come mai potrebbero saperlo? Internet, magari? Non ci avevo pensato…) e che fino a tre anni fa le si comprava a 20euri scarsi,
che i tanto decantati leggins dentro i loro stivali altro non sono che i fuseaux degli anni ’80 (e come stavano bene a pochissime allora, stanno bene a pochissime anche adesso) e che la differenza fra “boutique del vintage” e “negozietto dell’usato” sta nel prezzo tanto quanto nella dose in cui se la tirano i/le rispettivi/e clienti.
Infine, se qualcuno di loro leggesse, una gentile richiesta: in treno ed in bus, in nome del cielo e magari di un po’ di buona educazione, sorridete un po’, tirate su i pantaloni e giù le scarpe dai sedili.

martedì 29 gennaio 2008

Il 6 Nazioni si vedrà!!


Ebbene si, è ufficiale!!! Il 6 nazioni 2008 di Rugby verrà trasmesso in chiaro da La7 a partire dal 2 Febbraio alle ore 15:00 con l'avvio della partitissima Irlanda-Italia! Che dire, dopo essere riusciti a toglierci i mondiali (ma per fortuna non l'interessantissima partita di calcio di serie c3 Ponticino-S.Ellero che è stata trasmessa su tutti i canali a pagamento e non con approfonditi dopo partita) almeno uno dei tornei più vecchi del nostro continente potrà essere visto anche da retrogradi che come me non hanno né sky né parabole di alcun tipo!Son troppo contento! La maglietta dell'Italia comprata l'anno scorso al Flaminio (prima dell'epocale Italia-Galles) è pronta... Non ci resta che augurare: Forza Azzurri!!!

sabato 26 gennaio 2008

The Italian Rover

Viaggiare è assieme alla musica un altro dei miei maggiori interessi. A volte non mi importa neanche la meta, l'importante è mettersi in marcia e aggirarsi con una buona dose di curiosità in luoghi nuovi. La maggior parte dei miei viaggi non necessita di un'organizzazione degna di questo nome. A volte si decide il da farsi pochi giorni prima di partire (se non il giorno stesso della partenza), altre volte invece più semplicemente ci pensa Tomish, l'Organizzatore Supremo del Gruppo Vacanze, il solo che ha la facoltà di farci tornare a casa una volta partiti (e per questo venerato e rispettato)!

Di solito, come tutti i mortali, le vacanze propriamente dette (cioè quelle che in genere durano più di un fine settimana) si addensano specialmente durante le ferie estive. Durante questo periodo ho avuto la possibilità di visitare posti veramente meravigliosi: dalle struggenti scogliere a picco sull'Oceano Atlantico in Irlanda, alle mura assolate dell'Alhambra moresca in Spagna, passando per una faticosa ma suggestiva scalata dei Monti Tatra in Polonia.
Forse per qualcuno le nostre non possono nemmeno essere considerate vacanze, dal momento che giriamo come matti dalla mattina alla sera, visitando musei, chiese, monumenti e strade al limite delle capacità umane (a volte anche superandole, con risultati disastrosi!), ma per noi è una cosa normale essere turisti "attivi", cioè non limitarci ad osservare un luogo, ma conoscerlo il più possibile, tramite la sua storia, le sue particolarità e le sue usanze, senza dimenticare il lato allegro e divertente che queste esperienze portano irrimediabilmente con se. Sia ben chiaro, comunque, che non ho niente contro quelli che se ne stanno beatamente a prendere il sole in spiaggia, perché di solito dopo essere tornati da una delle nostre gite, anche noi abbiamo bisogno di un bel periodo di riposo al mare (dato che torniamo molto più stanchi di quando siamo partiti, ed anche più magri, ma questa è un'altra storia...)!

Le mete delle nostre 3 gite estive sono state nell'ordine: Irlanda nell'estate della maturità liceale raggiunta (con molti dubbi!) nel 2005, in Polonia per intercessione della nostra guida Italo-Polacca nel 2006 e in Spagna nel 2007. Tutti questi viaggi sono stati ricchi di avvenimenti e di piacevoli scoperte, anche se, con poco tempo a disposizione, è stata una vera e propria gara contro il tempo. Una cosa molto importante nella buona riuscita della vacanza sono stati sicuramente i miei compagni di viaggio, che hanno una visione molto simile alla mia e che non si sono mai tirati indietro di fronte agli immancabili inconvenienti e difficoltà.

L'idea generale di questa nuova sezione era quella di descrivere brevemente i luoghi da me visitati, magari (grazie all'utilizzo delle nostre tecniche all'avanguardia) tracciando il percorso dei nostri vagabondaggi. Per descrizione non intendo una spiegazione di tipo scolastico (le guide che ci portiamo appresso servono proprio a questo!), ma semplicemente un'idea, un ricordo personale o un'emozione che mi ha trasmesso un determinato paesaggio, un castello o un quadro in una galleria d'arte. Come sempre poi invito tutti quanti a fare la stessa cosa, anche perché per quest'anno ancora non abbiamo deciso la meta delle nostre vacanze e per questo qualche suggerimento è sempre ben accetto!
Bonjo

venerdì 25 gennaio 2008

Muppets - Mahna Mahna




Sarà la nostalgia, sarà quello che vi pare, ma mentre guardavo questo video mi sono buttata via dal ridere.
Hanno dato il premio Nobel a Jim Henson, vero?

sabato 19 gennaio 2008

Chewing a Bubblegum

Mark Lanegan: Bubblegum






Carillon. Così comincia Bubblegum. Un carillon. Minimalista come solo Mark Lanegan riesce a essere. Il carillon stacca, lascia il posto alla musica; subito la voce roca, profonda di Lanegan esce dalle casse "Did you call for the night porter? You smell the blood running warm...". When Your Number Isn't Up: questo è l'inizio di uno degli album più belli che abbia mai ascoltato, un album che mi accompagna negli ultimi due mesi.

Album ricco di collaborazioni illustri, primo tra tutti Greg Dulli (Afgan Wings), poi Duff McKagan e Izzy Stradlin (Guns and Roses) e infine, ma certamente non ultima PJ Harvey, al secolo Polly Jane Harvey, eccentrica e geniale musicista inglese, che condisce con la sua voce, secondo me paradisiaca, le canzoni Hit The City e Come To Me. Bubblegum fu registrato nel 2003, a seguito del lungo e estenuante tour con i QOTSA, ma uscì solo nell'agosto del 2004. Sonorità diverse dai precedenti album rendono l'album forse più ascoltabile, più accessibile per il pubblico, ma come sempre (e per fortuna) non mancano momenti meditativi e di poesia oscura.

Il secondo brano è Hit The City. Non voglio dire nulla, guardatevi il video. Non trovo le parole.
Wedding Dress, la seconda traccia, una ballata, che preannuncia soltanto il sincopatico ritmo di Methamphetamine Blues. Forse la mia preferita di tutto l'album. Se dovessi un giorno masticare della metamfetamina sono sicuro che la sensazione non può che essere quella. Folle quanto basta per farmela piacere al primo ascolto: sporca, veloce, ripetitiva, sono i tre aggettivi che meglio la caratterizzano.
Il contrario, molto più melodica e rassicurante, risulta invece le quinta traccia: One Hundred Days. Mark tiene incollato alle casse, presentando tracce sempre diverse, ognuna che richiama all'ascoltatore altri autori, e di nuovo cambia con la sesta, Bombed, una poesia acustica, accompagnato di nuovo dalla voce di PJ.
Non riesco ancora a capire perchè, ma le settima, Strange Religion mi dà l'idea di un viaggio, sicuramente sarebbe una delle tracce che metterei nel cd intitolato "Ruote 66" (sì, è uno dei miei sogni, coast to coast sulla mitica Route 66).
Sideways In Reverse è invece la traccia che ricorda i mitici Screaming Trees, e che mi riporta indietro nel tempo fino alla mia, ormai lontana, terza superiore. Subito dopo torna la voce femminile di PJ Harvey, in una canzone che può essere il parallelo tra il sesso e la musica. Le due voci si fondono in una sola, in un concerto perfetto di sensualità.
Di nuovo una ballata con Like Little Willie John, per poi tornare alle laneganiane Can't Come Down e Morning Glory Wine. Se mi piace Mark Lanegan c'è un motivo, e queste due canzoni me lo ricordano più forte che mai!
Geniale è Head, canzone che non riesco bene a inquadrare, e forse è proprio questo il motivo che me la fa adorare. Sembra quasi pop, ma non lo è; non saprei davvero.
Segue, al quattordicesimo posto di questo fantastico album una seconda traccia che ci ricorda i QOTSA, al pari di Methamphetamine Blues, ed è Driving Death Valley Blues.A me non ricorda solo loro, mi fa venire in mente anche, e forse anche di più, per la seconda volta, gli Screaming Trees. Sarò malato...
Ultima a chiudere questo fantastico album, la quindicesima canzone: Out Of Nowhere. Di nuovo il marchio di fabbrica Lanegan si fa sentire e chiude l'album con un ritorno al suo stile classico.

Che dire alla fine di questa lunga, e molto probabilmente noiosa, cavalcata attraverso quest'album magnifico? Sinceramente non saprei, posso solo dire che a me è piaciuto tantissimo. Mai noioso, sono riuscito ad ascoltarlo per tantissimo tempo: non posso fare altro che consigliarlo a tutti coloro che amano il rock, e che sicuramente non possono perdersi questo lavoro.

venerdì 18 gennaio 2008

In Rock

DEEP PURPLE
EMI 1970

Tracklist
1) Speed King
2) Bloodsucker
3) Child In Time
4) Flight Of The Rat
5) Into The Fire
6) Living Wreck
7) Hard Lovin' Man
Line-up
Ian Gillan - voce
John Lord - tastiere
Ritchie Blackmore - chitarra elettrica
Roger Glover - basso
Ian Paice - batteria

Premetto subito che In Rock è stato quasi una folgorazione: prima conoscevo i Deep Purple solo come gli autori di Smoke On The Water, ma siccome sentivo tanto parlare di questi Deep, mi sembrava un tantino strano che tutto il loro successo fosse dovuto ad una sola canzone... In realtà, come avrei scoperto di lì a poco, Smoke On The Water è solo un puntino nella lunga carriera musicale di questo gruppo che dal 1969 porta ancora in giro per il mondo il suo rock...

Senza entrare nei meriti di questo disco (non per fare un omaggio alla concorrenza, ma sul web c'è di tutto e di più!) vorrei solo descrivere quello che rappresenta per me In rock e descrivere brevemente le traccie presenti al suo interno, magari facendo qualche considerazione in più sul basso elettrico, cosi almeno sarò ufficialmente fucilato sulla pubblica piazza :)
Pronti allora bimbi a rocckeggiare?

Dopo aver trovato l'album in questione (cosa non molto difficile, lo vendono anche in panetteria penso) subito l'ho inserito nel mio amatissimo lettore immaginando chissà quali riff granitici e distorti, premo play e... Caos allucinante! dalle casse esce un frastuono infernale, un'orgia di strumenti, un'onda d'urto che colpisce e distrugge tutto ciò che trova sul suo percorso (ma è l'inizio o la fine dell'album mi chiedo perplesso), ma poi tutto si calma e una tastiera (uscita chissà da dove) sembra riportare l'ordine e stabilisce quasi un'atmosfera da sogno...Ed ecco un consiglio che mi sento di darvi un po' per esperienza: se tenete alla cristalleria di mamma o, più in generale, se tenete alla mamma, non alzate troppo il volume per sentire questo dolce accompagnamento (lo so che tenta da morire ma non lo fate!), perché pochi secondi dopo, suona la sveglia!!! E via, a tutta velocità!!!. Ecco che cos'è per me l'Hard Rock: Speed King. Non c'è brano che mi ha fatto scattare dalla sedia come questo, che mi agita sempre dal profondo, spingendomi a saltare per la stanza. Come inizio non c'è male!
Subito dopo, per cercare di riportare la calma, inizia la blueseggiante (si dice cosi?) Bloodsucker: ed ecco sfornato un altro capolavoro. Molto divertente da suonare con il basso, presenta la tipica struttura blues, ma con velocità e suono tipicamente rock (in genere l'hard-rock è una soluzione solida tra questi due estremi: scusate l'esempio naturalistico ma non sapevo come spiegarlo! Per chi non lo conoscesse, ci penserà Agron, che con cortesia e disponibilità, farà chiarezza! N.d.a. beccati sta palla Agron!).
E arriviamo cosi alla terza traccia: descrivere Child In Time come un brano è una cosa troppo riduttiva (è come dire che le piramidi sono solo tombe di gente che non c'è più...) e quindi lascerò in sospeso il mio giudizio. Una cosa è certa: la ballata è da sempre il banco di prova di tutti i gruppi rock, ed è qui che si distinguono quelli veramente grandi e a me solo l'introduzione di tastiera mi fa venire la pelle d'oca, figuriamoci poi quando entra la voce di Gillan con i suoi acuti cosi onirici ed eterei, senza contare l'apoteosi che si raggiunge con l'assolo centrale (meno male che "sospendevo il giudizio",ma non ce l'ho fatta ad essere cosi stoico!). Comunque dovete ascoltarla come compito per casa! (mi ringrazierete poi, o almeno spero)
Flight Of The Rats sembra dare la sveglia a coloro che sono ancora confusi per la traccia appena conclusa, li scuote e li riporta alla realtà. Pura velocità e potenza. In altre parole, puro Hard Rock.
Passiamo poi a Into The Fire, un brano forse un po' sottotono rispetto agli altri (non dico mal riuscito, ma per me semplicemente non può competere con quelli sopra citati). Comunque scorre via tranquillamente.
La penultima traccia è Living Wreck. Il punto di forza di questo brano secondo me è il ritornello: semplice ma molto efficace.
Ed infine, un pezzo quasi sperimentale: Hard lovin man. Tiratissimo dall'inizio alla fine, assomiglia quasi ad una lunga cavalcata, costellata da ricami di tastiera e acuti di Gillan che paiono intrecciarsi. E in conclusione uno sferragliare di chitarra che sembra richiamare l'inizio dell'album. Non c'era miglior modo di chiudere in bellezza!

Un ultimo appunto lo vorrei fare sulla registrazione dell'album, che si può considerare abbastanza scadente rispetto a quelle fatte oggi...Ebbene, io trovo in tutto questo un altro punto di forza! Sentire gli amplificatori che sembrano sempre sul punto di esplodere, sparati a tutto volume e inadatti a simile forza e potenza, conferisce all'album un suono duro, grezzo, tagliente ma soprattutto essenziale, che non ha bisogno di tante modifiche, tanti abbellimenti. E' il Rock come dovrebbe essere: duro e puro.
Bonjo

mercoledì 9 gennaio 2008

Samurai Champloo



Autore: Shinichiro Watanabe
Regia: Shinichiro Watanabe
Studio: Manglobe
Episodi: 26 completa

1ª TV: 20 Maggio 2004 - 19 Marzo 2005 su Fuji TV

Genere: Shonen, Avventura, Commedia






Cercherò di essere subito chiara.

Se state cercando una ricostruzione storica fedele alla realtà, Samurai Champloo non fa al caso vostro.

Se state cercando un anime che possa intrattenere i vostri pargoli, siete proprio sulla strada sbagliata.

Se state cercando qualcosa di profondo, sconvolgente e illuminate… leggetevi la Relatività di Einstein, che cazzo vi mettete a guardare i cartoni animati!

Ma.

Se vi piacciono le cose che esulano completamente dagli schemi, i combattimenti spettacolari e i combattenti che chiedono (letteralmente) alle più elementari regole della società e del buonsenso di non rompere i coglioni, Samurai Champloo è proprio quello che fa al caso vostro.


L'ambientazione ha luogo durante il periodo Edo, un tempo in cui il Giappone… niente, ora non ho voglia di tirare fuori il Bignami di storia e poi tutte le informazioni di questo mondo sarebbero inutili per un anime simile. Voglio dire, capi yakuza che sembrano usciti da una discoteca di Harlem, piercing da punkettaro allo stadio più grave, scontri all'ultimo graffito, c'è materiale a sufficienza per far piangere uno storico fino alla fine dei suoi giorni ma, se l'anacronismo (quello voluto) non vi provoca spasmi e dolori acuti, quanto meno una risata ve la strappa di sicuro.


La trama è a mio parere meravigliosamente semplice. Fuu, una ragazza di quindici anni, lavora alla locanda degli zii e qui si imbatte per la prima volta in Mugen e Jin, due perfetti sconosciuti che si mettono a combattere due secondi dopo essersi incontrati. Il locale va a fuoco e per Fuu è l'occasione giusta per compiere la sua personale missione: trovare il samurai che profuma di girasoli e così intraprende il suo viaggio proprio con Jin e Mugen come ricalcitranti guardie del corpo. I ventisei episodi di cui è composta la serie ci accompagnano quindi lungo un improbabile cammino, costringendoci a seguire i tre protagonisti con lo stesso forsennato ritmo con cui vivono le loro disavventure, che per buona parte dell'anime si discostano dalla missione principale e si concludono all'interno di una, due puntate.
A qualcuno è proprio quest'ultimo aspetto a non piacere (lo trova inconcludente e di poca sostanza), ma personalmente la ritengo una stronzata per cui lascio perdere e vado avanti.

I personaggi principali sono tre e se le loro vicende personali si scoprono negli episodi un bel po' successivi al primo (quelli inutili di cui sopra), i loro caratteri risultano chiari da subito. Ora precisiamo, sono lungi dall'essere statici, immutati dall'inizio alla fine, ma se cercate la redenzione totale al termine del lungo viaggio leggetevi la Divina Commedia, non perdete tempo con Samurai Champloo.
Fuu è una ragazzina vivace e testarda, anche se si affeziona subito ai due compagni si vergogna troppo per ammetterlo liberamente. Non ha peli sulla lingua e non manca di coraggio, ma non conoscendo le arti marziali e non sapendo usare il suo tanto finisce sempre nei guai e sono le sue infedeli guardie del corpo a risolvere, spesso involontariamente, i suoi problemi.
Mugen è un vagabondo rozzo e sboccato proveniente dalle isole Ryuukyuu (guarda te il caso, solo qualche giorno fa Xeno me le ha fatte conoscere e mi ha accennato la loro storia…), indossa strani abiti colorati e un paio di geta suolati di acciaio. Apparentemente sembra un idiota senza controllo, in realtà… lo è, ma è proprio questo a rendere il personaggio interessante. Il suo stile di combattimento è una commistione di kendo, capoeira, breakdance e movimenti completamente inutili, che distrugge tutto quello che lo circonda e spesso, non sempre, anche il nemico. Le sue armi sono un tanto e una katana a doppio taglio che alla fine viene sostituita da una claymore.
Jin è il samurai canonico (se si escludono gli occhiali da maestrina), ha un carattere decisamente più riflessivo e maturo rispetto al "collega", ma come lui si lascia prendere la mano con molta facilità se incontra un valido avversario. Non riuscendo ad accettare i signori del suo tempo, che lui considera degli inutili fantocci, lasciato il dojo del suo maestro diventa un ronin. Le sue armi, che definisce una materializzazione della sua anima, sono una katana e un wakizashi e combatte seguendo gli stili del Kenjutsu e del Jujitsu.


La colonna sonora, composta quasi completamente da brani hip-hop, è in realtà il quarto personaggio principale dell'anime. Ad essere sincera all'inizio ero molto scettica, dal momento che tale genere *assolutamente* non è di mio gusto, ma già dai primi minuti mi sono dovuta ricredere: senza quel tipo di musica abbinato agli scontri spettacolari e rapidissimi Samurai Champloo perderebbe buona parte della sua originalità. Ovviamente i brani tradizionali non mancano e, al contrario degli altri, vengono utilizzati per sottolineare i momenti più tranquilli e riflessivi.


Il soggetto e la regia sono affidati a Shinichiro Watanabe (lo stesso di Cowboy Bebop tanto per intenderci) e il suo lavoro è come al solito magistrale. A parte disegni e scenografie bellissime, il maestro si diverte un casino a giocare con le immagini e con la musica, ad esempio, quando scandisce le variazioni di scena o i flashback a tempo di scratch. Le riprese inoltre, per mettere in risalto la rapidità e il caos dell'azione, spesso sembrano effettuate da una camera a mano che con affanno segue i personaggi nei loro spostamenti.


La versione italiana di Samurai Champloo è curata dalla Panini Video e al momento è disponibile solo il primo DVD (di sei) con i primi cinque episodi. Essendomi affidata alla versione giapponese (sottotitolata) non so dirvi niente sul doppiaggio ma, pregando il grande demone dei cartoni animati, mi auguro che sia all'altezza di quello originale. Per completezza aggiungo che esiste anche il manga (quattro volumi tratti dall'anime) e la Panini ha iniziato la sua pubblicazione a dicembre con cadenza, almeno per il momento, mensile.


Per concludere, se mi chiedessero un pregio di quest'opera risponderei senza dubbio che è divertente, in tutti i sensi; se invece mi chiedessero un difetto direi, altrettanto velocemente, certa gente che lo guarda.

venerdì 4 gennaio 2008

Eco-bio, l'ecologico sulla pelle

Guardando la pubblicità di un giornale, un po’ di tempo fa, mi sono resa conto di quanto anche nelle piccole cose si predichi bene e razzoli male. Il giornale in questione, un numero di dicembre di Vanity Fair (e sì, io leggo VF), aveva pubblicato un breve articolo contro l’utilizzo del foie gras, motivandolo con il trattamento inflitto alle oche per farle ingrassare e per ottenere la tanto sospirata prelibatezza gastronomica. A poche pagine di distanza, una lussuosa pubblicità invitava a pasteggiare durante le feste con la stessa ghiottoneria e in fondo al giornale, nelle pagine dedicate alla cucina, una ricetta spiegava nel dettaglio come e quando usarla. Bell’autogol, non c’è che dire.
Notando nel numero di ieri di VF un’ammissione di colpa da parte del direttore non ho potuto fare a meno di sorridere.

E mi sono ricordata di tutte le contraddizioni che vedo ogni giorno. Simpatiche signore all’avanguardia che mai e poi mai rinuncerebbero allo yoga, o al pilates, o allo shopping al mercatino equo-solidale ma non sanno staccarsi dalla pelliccia che le copre da capo a piedi perché, beh, “è di famiglia”. Insopportabili piattole che in mensa bloccano la fila aspettando il loro piatto vegetariano/vegano e poi se ne vanno contente a mangiare, ciabattando con le loro prada 100% pura pelle di vitello slacciate e la borsa di marca (scegliete voi quale) e, ovviamente, di pelle, a tracolla . Evidentemente, mi dico spesso in questo caso, uccidere animali per mangiarseli è nella scala cosmica del bene e del male molto più grave che non farlo per ricavarne la soddisfazione di indossare un pezzo di moda.

Tornando a me, a noi, a voi (via, avete capito), dal cibo alla pelle il salto è stato breve (Fermi lì: non sto per fare un trattato di cosmetica. Promesso).
Aldilà di veri e finti vegetariani, è innegabile che l’atteggiamento verso quello che mangiamo sta cambiando, tanto che perfino molte catene di iper- e supermercati hanno lanciato, chi prima chi dopo, proprie linee di prodotti alimentari bio con l’intento di non perdere i propri clienti.
Ma com’è che poi, dopo aver speso metà dello stipendio in prodotti che riteniamo più sani, più buoni, ecc ecc, dopo aver letto l’ultimo articolo su bio-architettura e bio-edilizia, raramente rivolgiamo la stessa attenzione a quello che ci mettiamo addosso?

Seguitemi un attimo in un esempio. Provate a ricordare quella pubblicità di una volta con un’avvenente fanciulla che veniva, diciamo così, rinchiusa in una doccia (e poi? Affogava? Si salvava? Mai saputo…) da una spalmata bianca di Silicone Sigillante. Bene, pensate ora che contenenti siliconi sono le cremine più reclamizzate ultimamente, i trucchi che qualcuno si mette e qualcuno si ritrova sui vestiti, gli shampoo e balsami che curano (tsè) la vostra lunga/corta/folta/rada chioma, ecc. Ora, uniamo le due cose. Se sulla doccia il Silicone era Sigillante, che effetto potrà mai avere su di noi?
Esatto. Una cortina, un film, come vi pare, che all’apparenza leviga e setifica e via dicendo, in realtà non fa che mascherare i problemi senza risolverli.
Altre porcherie con cui veniamo a contatto senza saperlo sono conservanti che rilasciano formaldeide (in certi dentifrici, fra i quali una versione della Pasta del Capitano) e derivati del petrolio in tali e molteplici forme da sfidare un camaleonte, come un solvente, usato anche come antigelo per automobili, in gel e saponi (il suo nome, ci sta, è Propilene Glycol). Ma in effetti, tempestati come siamo da pubblicità, campioncini prova e consigli della massaia di turno, sfido chiunque a porsi di sana pianta il dubbio “Ma l’Olio Baby Johnson che mi spalmavano addosso da piccolo avrà mica fatto male?” (la risposta è sì: è paraffinum liquidum – olio di vaselina – e poco altro, pari pari al liquido per le lanterne ad olio).

In soccorso del malcapitato cliente, purtroppo, c’è solo la lista degli ingredienti, per i cosmetici e prodotti per il corpo INCI: incomprensibile e indecifrabile se non per il principio che vuole gli ingredienti scritti in ordine decrescente di abbondanza.
Come sapere, però, se l’INCI del nostro beneamato shampoo (o detersivo) è una schifezza? La soluzione più breve è cercare nel sito del Biodizionario, dove buona parte dei possibili ingredienti sono catalogati con i colori del semaforo. Il verde è assegnato a quei composti, per buona parte naturali, innocui (non so se dire “non nocivi”) non solo per l’uomo, ma anche per l’ambiente e un prodotto con una lista di ingredienti verde, o verde-gialla (ma i gialli in fondo alla lista) viene definito eco-bio, abbreviazione per ecologico e biologico.
Dopo avere gironzolato un po’ in quel e in altri siti, controllando gli INCI di quel che avevo per casa, posso rassicuravi: il rosso semaforico è ovunque. E nel rosso si trovano appunto derivati del petrolio ma anche siliconi, volatili o meno (a seconda della grandezza della molecola, ma qui le mie conoscenze si fermano) e molecole innocue per l’uomo ma tossiche e inquinanti una volta giunte in acqua come il tetrasodium-EDTA che rende disponibili i metalli pesanti nelle acque, andando a intossicare la fauna marina (e chi se la mangia) e altro ancora.
Per fare un esempio (e offrire una panoramica degli armadietti del bagno di casa mia) sono a bollino rosso shampoo e balsamo Pantene ed Elvive de L’Oreal, il burrocacao di Avène (preso in farmacia e garantitissimo nella sua dolcezza) come pure la crema mani, un paio di prodotti Just, la classica Nivea, il Cif, l’Infasil verde-e-rosa, il Labello (ebbene sì) e, un mito che crolla per chi come me è cresciuto vedendo la nonna che se la metteva, l’Acqua distillata di rose della Roberts. I detersivi… serve davvero che lo dica?

Di certo, vale la regola del “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” visto che perfino marche in cui siamo portati a confidare, vuoi per il “buon nome”, vuoi per l’immagine che presentano, celano scheletri nell’armadio. È il caso di aziende “eco-furbe” come Bottega Verde, Lush e L’Erbolario (ma anche I Provenzali) che approfittando vuoi di una rinomata fama “verde”, vuoi di un’azzeccata strategia di marketing, ad un certo numero di prodotti eco-bio ne affiancano molti di più dalla composizione che lascia basiti, presentando componenti “a bollino rosso” già nei primi posti della lista.

La conclusione del post? In rete si trovano svariati siti dove scoprire non solo INCI già belli identificati in tutti i loro colori, ma anche consigli e trucchi per cambiare, magari di poco, le proprie abitudini (mai provato l’aceto al posto dell’ammorbidente?). E chi ha provato gli eco-bio afferma di non essersi pentito, suscitando nella sottoscritta non poche tentazioni.

Link utili:
http://www.biodizionario.it/
http://www.saicosatispalmi.org/
http://lola.forumup.it/


martedì 1 gennaio 2008