giovedì 29 novembre 2007

Un sogno chiamato Jazz Bass...

Ok, sto scrivendo questo post sull'onda dell'entusiasmo, quindi non so se quello che ne verrà fuori avrà un senso... La verità è che dopo 5 anni di gavetta Greg Bennett (senza nulla togliere a questo, per me, affezionatissimo strumento che mi sta accompagnando per tutti questi anni) sono riuscito a mettere le mie zampette infedeli su uno strumento storico, anche se per poco tempo: il mitico Fender Jazz Bass (vabbene era la versione Highway non quella American Series, ma pur sempre made in U.S.A.!). E allora? Chissene frega? Lasciatemi spiegare! Dalla mia scarsissima esperienza ho sempre visto questo basso come uno dei migliori che ci sono in giro e proprio per questo riponevo grandi aspettative nel giorno in cui avrei avuto la possibilità di provarlo... Ebbene finalmente posso dire come è andata!
Partiamo dalla forma, semplicemente perfetta: il Fender ha quella linea, cosi elegante, morbida e femminile che nessun altro basso possiede, una vera chicca per gli occhi! Le rifiniture non sono proprio cosi precise come nel modello American Series (ad esempio la vernice non è lucidata) ma vi garantisco che vi innamorerete a prima vista! (a me ha fatto impazzire la colorazione 3-Color Sunburst, quella della foto)
I materiali di costruzione: il corpo è in ontano e il manico in acero (come nella versione Americana, con la differenza, non trascurabile, che in quest'ultima il manico è rinforzato con grafite).
In entrambi i modelli i potenziometri sono gli stessi 3: 2 di controllo volume pickup e uno dei toni in generale (e vi garantisco che girando le rotelline la differenza nel suono si sente!). L'elettronica è sostanzialmente la stessa, cambiano invece i pickup, dove i 2 American Jazz Bass Single-Coil sono sostituiti con 2 Standard Vintage Alnico Magnet Jazz Bass Single Coil (ci deve pur essere un motivo se questo aggeggio costa 700 euro meno dell'altro!)
La suonabilità è ottima: non c'è quasi bisogno di premere le corde per emettere suono... E che suono!! sia sulle note più gravi che su quelle più acute ne otterrete sempre uno pulito e costante, degno del nome che porta. Unica pecca, comune però anche agli altri Fender Jazz (tranne qualche modello Deluxe) è il numero dei tasti, che sono "solo" 20.
Ma veniamo ad una delle caratteristiche più interessanti: il prezzo. Il modello che ho provato io ruotava attorno ai 750-800 euro, cifra abbastanza modesta (per chi volesse saperlo, il Jazz Bass American Series si aggira attorno ai 1400-1500, ma in genere tende ad andare verso l'alto, mai verso il basso!). Incide il fatto che, oltre ad indubbie caratteristiche di suono (che però io ancora non riesco a sentire), come dicevo prima la vernice non è lucidata e non c'è la custodia rigida Fender allegata (che solo quella costa più di 100 euro!), ma una semplice semirigida.
In conclusione (come se non l'aveste già capita)? Sono rimasto veramente soddisfatto di questo strumento (anche se per l'impazienza di provarlo non ho fatto esercizi di riscaldamento e adesso ho un polso completamente bloccato...). Ora aspetto solo la possibilità di provare anche un Fender Jazz made in Mexico e confrontare le due alternative (oltre che trovare i soldi per comprarlo, ovviamente...)
Bonjo

Ten

Pearl Jam
Epic 1991

1. Once
2. Even Flow

3. Alive

4. Why Go

5. Black

6. Jeremy

7. Oceans

8. Porch

9. Garden

10. Deep

11. Release

Parlare di un album sedici anni dopo la sua uscita non è un’impresa semplice, soprattutto quando il disco in questione è stato recensito da decine di critici, indubbiamente più abili di me nel fare un mestiere che non è il mio. Di Ten dunque si è detto tanto e, a mio avviso, a volte anche troppo. Quando infatti leggevo o sentivo nelle interviste frasi come “Ten è il disco cardine dell’epoca grunge” e subito dopo “Ten non è assolutamente un disco grunge” mi sentivo smarrita, se non addirittura presa per i fondelli da giudizi così antitetici. Tuttavia, nel momento in cui la mia misera cultura musica è diventata un po’ meno (ma non tanto!) misera, ho capito che quelle frasi non erano una presa in giro ed incredibilmente potevano essere considerate entrambe vere, perché grunge è tutto e non è niente e l’unico sbaglio che si può fare è considerarlo un genere musicale.

Partendo quindi dal presupposto che grunge è una parola inizialmente usata per riassumere la bruttura di una città (Seattle) o in generale di una società che nei primi anni Novanta non se la cavava tanto bene (e che per questo partoriva figli incazzati come bisce), è quanto meno azzardato scindere Ten da questa sorta di movimento culturale.
I quattro quinti della band, infatti, cresciuti musicalmente parlando a Seattle, si erano formati secondo le esigenze di quella realtà, che non richiedeva più sintetizzatori e belle testoline permanentate, ma batteria, basso, chitarra e una voce che potesse gridare tutta l’insoddisfazione del momento. Persino l’aspetto tecnico dello strumento era messo in secondo piano a favore di un impatto violento con il pubblico.

Sebbene, dunque, non sia corretto estrapolare il disco dal contesto in cui nasce, non è altrettanto giusto volerlo incasellare a forza nei canoni più ristretti del grunge. Prima di tutto, il livello tecnico che lo caratterizza non è affatto trascurabile, (nel senso che i pezzi di Ten non li impari subito dopo “La canzone del Sole” al corso di musica); ci sono assoli di chitarra lunghi un vita; l’influenza del metal è solo marginale ed è completamente assente quella del punk, due generi invece che incidono profondamente su altri gruppi come gli Alice in Chains e i Nirvana; infine i testi, affidati principalmente a Vedder (il vocalist benzinaio nato a Chicago e cresciuto a San Diego, due città che poco incastrano con il grunge), non sono elementari e la loro comprensione non è mai scontata o addirittura univoca.

Non ha senso quindi illustrare il significato delle canzoni presenti nel disco. Si è parlato di killer, senza tetto, ragazze violentate o rinchiuse in una clinica dalla propria madre, ragazzini impazziti, amori sfumati nel nero e preghiere ad un padre che, morendo, ha lasciato dietro di sé un figlio sconvolto, ma il fatto che queste siano le spiegazioni più diffuse dei vari brani non significa di certo che siano le uniche o quelle giuste. Lo stesso Vedder parla raramente del contenuto dei suoi testi proprio per non rovinare l’interpretazione che la gente da loro.

Le parole sono immerse in una musica composta essenzialmente da Gossard (chitarra) e Ament (basso) e poiché esce dalle casse in modo semplice e duro, senza lasciare spazio a sperimentalismi, alcuni hanno parlato di “monotonia sonora” come unico difetto (veniale) di Ten. Le prime quattro tracce sono puro rock, dove le due chitarre intrecciano e si scambiano riff graffianti, tirati a tal punto da farti rimanere senza fiato. Successivamente il ritmo si placa con Black, Jeremy (due ballate
memorabili) e Oceans, per poi riprendere il volo con Porch, fino a toccare punte metal in Deep. Release è la canzone che conclude la versione americana del disco e qui lo strumento che domina su tutti è la voce di Vedder, talmente profonda da riuscire a toccare e scuotere anche chi di inglese non ne capisce niente.

Molte volte mi sono fermata a riflettere perché ami tanto Ten e in generale tutta la discografia dei Pearl Jam. Per me è davvero una fatto strano perché il panorama della musica che si presenta alla fine degli anni Ottanta e in quelli Novanta non mi fa impazzire: sono pochi i lavori degni di nota e tutto il resto è noioso, se non addirittura la prova di una crisi in atto e che sfocerà nella situazione attuale.
I tempi d’oro della musica, a mio parere, vanno cercati alla fine degli anni Sessanta e in quelli Settanta... Quindi perché proprio i Pear Jam?
Da sola non ero in grado di dare una spiegazione, è stato istintivo, un amore a primo ascolto o quasi. La risposta mi fu data da un tipo in televisione, non ricordo se era un produttore o un musicista, in ogni caso nell’intervista che stava rilasciando affermò che il primo disco dei Pearl Jam era già vecchio al momento della sua uscita. Ascoltava quei brani e gli venivano in mente gli Who, i Led Zeppelin, Neil Young; guardava i loro concerti e rivedeva l’hard rock dei mitici ‘70. Molti possono interpretare queste parole come una critica, sembrano quasi affermare che l’originalità del gruppo è zero. Ma per me significano che i Pearl Jam sono la macchina del tempo in grado di riportare la gente a momenti “migliori” e in questo caso è il più bel complimento che si possa ricevere.

domenica 25 novembre 2007

Il Signor Bonjo, suppongo...

Prima di cominciare a parlare di musica, ho ritenuto necessario (probabilmente a torto!) fare una breve introduzione su di me (il solito egocentrico!) per farvi capire quali sono i generi che mi piacciono di più e anche il perché. Innanzitutto, sono un bassista (oddio preferisco pseudo-bassista). Il problema è che non sono un chitarrista mancato, ma ho scelto di mia spontanea volontà e con il pieno possesso delle mie capacità mentali questa "chitarra senza due corde" (cosa pensavo fosse il basso un minuto prima di provarlo!). Problema ancora più grave è che, un minuto dopo averlo provato, mi sono innamorato perso di questo meraviglioso strumento, che con l'andare del tempo mi sta regalando grandi soddisfazioni. Indi per cui a me piace la musica dove si senta un bel po' di "bum-bum", ma non un "bum-bum" cosi a caso, ma un "bum-bum" fatto bene, fantasioso ed efficace. Tra i bassisti che mi piacciono di più ci stanno Roger Glover (Deep Purple), Mike Porcaro (Toto), John Illsley (Dire Straits), Cliff Burton (Metallica), Donald Dunn (Blues Brothers), Steve Harris (Iron Maiden), Faso (Elio E Le Storie Tese), naturalmente Jaco Pastorius (soprattutto nei Weather Report), il mio maestro di basso (al secolo Giacomino) e qualcun altro che mi sono dimenticato, come ad esempio John Deacon (Queen). Il genere musicale che mi piace di più principalmente è quindi il Rock Hard-Rock, ma non disdegno le più svariate contaminazioni e influenze, dal Blues al Folk, un pizzico di Jazz e un po' di Metal (ma che non scada mai nell'eccesso!). Dico questo perché ci sono interi generi musicali (come il Grunge, il Pop e, purtoppo, il Funky) di cui sono un ignorante completo e che anche all'interno dello scenario Rock ci sono tante cose che mi sono ancora oscure. Comunque avevo deciso, se ci riesco, di portare avanti due tipi di post musicali: uno di descrizione ed uno, se me lo consentono :-), di "filosofia del basso". Da oggi parte dunque la settimana Rock ove chiunque di voi può descrivere, commentare e quant'altro, un gruppo, un disco, una canzone che abbia a che fare con questo scenario. Io partirò da "In Rock", uno dei capolavori dei Deep Purple.
Al prossimo post allora e ricordatevi: troppo headbanging davanti allo schermo può essere pericoloso!
Bonjo

sabato 24 novembre 2007

Global Warming 0.2

Global Warming

Or: Oil for food



Che cosa sono i combustibili fossili? Sono in definitiva rocce. Rocce sedimentarie, risultate dall'accumulo durante i tempi geologici di materiale organico. Materiale organico che ha subito un processo di trasformazione chiamato diagenesi, e che ha portato alla formazione di quello che noi oggi chiamiamo carbone, gas naturale o petrolio.

Ci sono quindi tre forme di combustibili fossili, che potremmo identificare con le tre fasi della materia: solido liquido e gassoso.

Solido è il carbone, risultato dal seppellimento e dalla diagenizzazione di piante vissute milioni e milioni di anni fa. Il Carbonifero (periodo dell'era paleozoica, compreso tra il Devoniano e il Permiano, tra 345 e 280 milioni di anni fa) è stato chiamato così proprio per la grande quantità di carbone che si formò. Queste piante sono state sepolte in ambienti come stagni e paludi, privi di ossigeno, che col tempo tramite un processo detto appunto di “carbonizzazione”, si sono trasformati in una delle forme del carbone. Più tempo il carbone subisce questo processo e più energia per unità di massa restituisce il carbone che viene estratto. Il carbone è forse il peggiore dei combustibili fossili: è il più inquinante per l'elevato tenore di zolfo e anche quello che rilascia più CO2.

Il petrolio si presenta allo stato liquido. Si forma per diagenizzazione e seppellimento di organismi marini microscopici, che nel corso delle migliaia di anni formano enormi sedimenti in fondo all'oceano, per poi essere trasformati nell'arco di milioni di anni in petrolio. È formato da idrocarburi, cioè composti formati da idrogeno e ossigeno con catene più o meno lunghe. Il promo pozzo industriale per l'estrazione di petrolio fu costruito in Pennsylvania nel 1859 e la sua estrazione si è impennata poi dopo gli anni '50 per la crescente domanda dei paesi industrializzati. Per utilizzare il petrolio questo viene distillato, cioè vengono separate tutte le sue componenti in base alla massa degli idrocarburi. Vengono così prodotti benzina, nafta, kerosene, gasolio e molti altri derivati.

Allo stato gassoso si trova il gas naturale. Spesso si trova assieme al petrolio e infatti ha un'origine comune. Inizialmente non veniva utilizzato per l'alto pericolo di esplosioni, poi con l'avvento di tecnologie migliori è stato possibile convogliarlo ed estrarlo senza pericolo. Il gas naturale è formato principalmente da metano (CH4) e con la sua combustione produce acqua e CO2. Per questo motivo è forse il migliore dei combustibili fossili, non avendo al suo interno composti con zolfo o azoto, considerati i più inquinanti. Un'altra nota positiva è la bassa emissione di CO2 in rapporto all'energia fornita. D'altra parte è pericoloso perché è una molecola quattro volte più opaca all'infrarosso rispetto alla CO2; in poche parole produce un effetto serra devastante.

domenica 18 novembre 2007

Il manga di oggi

Per cominciare un po’ di termini

La parola “manga”, formata dai termini del giapponese antico “man” immagine e “ga” in movimento, indica per noi occidentali il fumetto ideato in Giappone.
Se per un attimo ci volessimo liberare dalla bizzarra concezione "manga uguale materiale pornografico" (e so che non è facile dal momento che in quasi tutte le edicole One Piece, tanto per fare un esempio, si trova sempre accanto a Casalinghe in calore!), ci renderemmo conto che esistono numerose categorie di fumetti giapponesi.
Come per i film o per i libri si può distinguere il genere comico, drammatico, sentimentale, fantasy, horror, fantascientifico e tanti altri, tuttavia per i manga è abitudine utilizzare anche categorie peculiari che individuano un target fra i lettori. Tale classificazione, adottando termini giapponesi, non è facile da ricordare e può generare confusione, quindi, in vista anche di discussioni future, riporterò di seguito un elenco dei principali generi.

Shōnen:
"ragazzo" in italiano, è rivolto appunto ad un pubblico di ragazzi. La trama predilige l'azione ai sentimenti e i protagonisti sono spesso adolescenti coinvolti in combattimenti o in competizioni sportive. Il linguaggio utilizzato può essere scurrile e il tratto dei disegni è generalmente più spigoloso ed essenziale. (Es. Slam Dunk, Bleach, GTO, Dragon Ball).
Shōjo:
"ragazza" in italiano, è orientato verso le adolescenti. Quasi sempre l'intreccio è caratterizzato da situazioni sentimentali dove il piano psicologico prevale su quello dell'azione. Il linguaggio è più contenuto, il tratto è più morbido e arrotondato e spesso le tavole sono arricchite da particolari decorativi disgiunti dalla storia. (Es. Sailor Moon, Marmellade Boy, Candy Candy).
Seinen:
in italiano "giovane uomo", è rivolto ai giovani dai diciotto ai venticinque anni. I protagonisti sono studenti universitari o in generale adulti e la trama è incentrata su tematiche più mature. (Es. Vagabond, Monster, 20th Century Boy, Devilman).
Josei:
in italiano "donna", ha come target di riferimento donne dai diciotto ai trenta anni. Allo stesso modo dei seinen tratta argomenti più maturi e le storie d'amore, se presenti, sono più realistiche. (Es. Mars, Nana, Sei il mio cucciolo, Clover).
Hentai: in italiano "trasformazione" (perverso), sono rivolti ad un pubblico adulto. La trama è praticamente assente e tutto è incentrato su scene esplicite di sesso. Per chi fosse interessato ad approfondire l'argomento consiglio di consultare la stessa voce in wikipedia... Accidenti se è informato chi ha scritto l'articolo!!
Shōnen Ai:
in italiano amore fra ragazzi. Gli sviluppi sentimentali della storia coinvolgono ragazzi.
Yaoi: simile allo shōnen ai, ma più esplicito nei contenuti. Nonostante il tema trattato il pubblico di riferimento non è costituito da omosessuali, ma da donne.
Shōjo Ai/Yuri: in italiano amore fra ragazze. L'intreccio romantico avviene fra ragazze.
Dōjinshi: in inglese fanzine, sono lavori pubblicati in proprio dall'autore e creati in base a manga, anime e videogiochi originali.

Va comunque tenuto presente che, nonostante molti manga rientrino anche troppo rigidamente in determinate categorie, altri sono piccoli capolavori che, a mio avviso, trascendono ogni genere di classificazione.

Caffeine


venerdì 16 novembre 2007

La musique est le seul de talents qui jouit de soi meme

“La musica è il solo talento che diletti se stesso;
tutti gli altri hanno bisogno di testimoni.”


Marmontel - Contes Moraux

La musica è uno dei fenomeni globali più importanti di sempre. Con globale intendo che tutti i popoli del mondo, in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo hanno praticato e praticano ancora oggi qualche forma di espressione musicale. A testimonianza di questo, è interessante notare che le prime tracce di uno strumento musicale (un flauto d’osso) risalgono a quarantamila anni fa. Tale strumento è cosi perfezionato da riuscire a riprodurre una scala esatonale perfetta!

La musica è una delle forme d’arte che più unisce i popoli proprio per il carattere di universalità che la contraddistingue. E’ uno dei linguaggi più semplici e immediati, ma al tempo stesso capace di suscitare forti emozioni, di riportare alla mente immagini, sensazioni, ricordi lontani e di farceli rivivere con la stessa intensità, di farci tornare bambini, anche se per lo spazio di una sola canzone... Il fatto poi che chiunque può avvicinarsi a quest' "arte" evidenzia ancora di più il suo carattere di universalità: anche senza l'obbiettivo di diventare il nuovo Hendrix o Pastorius che dir si voglia, tutti possono prendere uno strumento in mano e strimpellarlo, da solo o in compagnia, traendone una soddisfazione del tutto personale, che và al di la della fama o del successo.

Oggi la musica è diventata un fenomeno mediatico e come tale è andata incontro ad esigenze e gusti sempre più particolari, suddividendosi al suo interno in tantissimi generi differenti:Rock, Hard-Rock, Blues, Punk, Metal, Funky, Pop etc... L'idea era quella di cercare di esplorarli assieme, attraverso la descrizione di un album, un artista, uno strumento o un brano che sono significativi all'interno di quel genere. Come sempre, vista la grandezza dell'impresa, è impensabile poter affidare tutto ad un'unica persona...
Alla prossima dunque e non dimenticatevi: Let's Rock!
Bonjo

giovedì 15 novembre 2007

Global Warming 0.1

Global Warming

Or: None like it hot!


Ormai tutti sappiamo cos'è l'effetto serra. Ma vale la pena ripetere per chi non lo avesse ben chiaro.

L'effetto serra è un fenomeno naturale che influenza la temperatura del nostro pianeta. Se non esistesse l'effetto serra la Terra sarebbe così fredda da non permettere la vita come la conosciamo noi. In parole povere. Quando i raggi del sole raggiungono la Terra parte di loro viene riflessa dall'atmosfera, e una parte assorbita sia dall'atmosfera stessa sia dalla superficie della Terra, organismi viventi compresi (a chi non fa piacere crogiolarsi al sole in una bella giornata). L'energia luminosa viene così trasformata in vari tipi di energia: chimica se gli organismi fototrofi (letteralmente che si nutrono di luce) utilizzano la luce per svolgere alcune reazioni chimiche utili per il proprio sostentamento, un esempio per tutti le piante; la luce viene poi usata per reazioni chimiche abiotiche; per far evaporare l'acqua; o più semplicemente si trasforma in calore. Esistono dei meccanismi che riflettono l'energia verso lo spazio, sotto forma di infrarossi, cioè luce "meno energetica", in sostanza calore. Gli infrarossi emessi dalla Terra se ne vanno così verso lo spazio attraversando l'atmosfera, ma non tutti, una parte di loro viene assorbita e riflessa di nuovo sulla superficie dai gas che compongono l'atmosfera terrestre. Ogni gas ha una particolare capacità di intercettare e bloccare la radiazione infrarossa e quelli che lo fanno meglio sono l'acqua e la CO2 (anidride carbonica, o biossido di carbonio). Per questo noi non perdiamo tutta l'energia che la Terra rimbalza verso lo spazio, e questo è fondamentale, altrimenti il calore perso sarebbe troppo e la temperatura sarebbe troppo bassa. Di per se quindi l'effetto serra è “buono”, dobbiamo l'esistenza della vita che ci circonda (almeno così come la conosciamo sulla Terra) proprio a questo fenomeno, che, ripeto, è del tutto naturale e comune anche ad altri pianeti del nostro sistema solare.

Il vero problema non è l'effetto serra ma il riscaldamento globale o global warming. Questo è causato da vari fattori, ma bisogna essere ciechi per non vedere la correlazione tra aumento di CO2 nell'atmosfera e l'aumento della temperatura media de pianeta. L'aumento di CO2, un gas serra, durante il processo di industrializzazione, ha causato il riscaldamento globale. Ma di questo parleremo in un vicino futuro.

Al prossimo post.

mercoledì 7 novembre 2007

La fabbrica si è messa in moto

Eccoci qui.
Il primo post, la prima vera sfida. La pagina è tutta bianca e noi sappiamo che se resta bianca a lungo siamo fregati: la mente si blocca, le parole non escono e non riesci più a formulare nemmeno il tuo nome. Allora scriviamo, siamo costretti a scrivere le prime stronzate che ci passano per la testa, tanto per sporcare di nero quel bianco bastardo.


Rumore di ingranaggi giganteschi. Ruote dentate grandi come automobili si muovono, sferragliano, gracchiano impronunciabili parole che solo un'altra fabbrica come questa può capire. In lontananza si percepisce il singhiozzo del motore che, tra sbuffi di fumo e soffi di vapore, manda avanti l'immenso macchinario. All'improvviso uno sfrigolio elettrico esplode dalle casse sparse in ogni angolo. Chitarre distorte e batteria martellante squarciano l'aria in una melodia spettrale.

Ci siamo, si avvicina il momento.

Un cigolio ha inizio quando un rullo trasportatore si mette in moto. Qualunque cosa uscirà viene dalle viscere oscure dell'immenso congegno. Aumenta il volume della musica. Qualcosa si intravede in alto, all'uscita dalla macchina infernale. La cosa entra in piena luce... Sono studenti che piangono, ridono, si abbracciano in un delirio senza fine.

"Siamo appena usciti dall'aula di statistica" riescono a dire "E ora siamo completamente mattiiii!"


In realtà quei folli congegni si basano su meccanismi molto semplici, fondamentali affinché tutto il processo proceda senza giri a vuoto. Il primo è che ogni macchinario può svolgere il suo lavoro solo accanto e con l'aiuto di altri macchinari, poiché ognuno di essi è necessario al completamento dell'opera. Inoltre, il software è stato programmato per eliminare due pericolosi cortocircuiti che possono provocare attriti e improvvisi blackout: la religione e la politica. Per il resto, nel rispetto degli altri, ognuno è libero di aggiungere, costruire e forgiare come meglio crede. E alla fine, se vi accorgerete di essere un po' più matti di prima, non preoccupatevi... Sarete solo entrati anche voi a far parte del meccanismo di questa grande fabbrica!


La direzione
Agron, Bonjo, Caffeine.