Polydor 1974
1. Cradle Rock
2. I Wonder Who
3. Tattoo'd Lady
4. Too Much Alcohol
5. As the Crow Flies
6. A Million Miles Away
7. Walk on Hot Coals
8. Who's That Coming?
9. (Back on My) Stompin' Ground
11. Maritime
Premetto subito che non sono una grande intenditrice di blues, anzi, diciamo pure che non ne capisco niente, è un genere che rispetto molto, come il jazz e la musica classica, ma che per il momento non riesco ad ascoltare apprezzandone appieno i contenuti. Quando però esce dalla Stratocaster di Rory Gallagher il discorso per me cambia completamente, perché impiega meno di un battito di ciglia a trasformarsi in hard rock, per poi tornare blues e diventare ancora rock psichedelico piuttosto che folk, seguendo la passione sfrenata del suo esecutore.
La tecnica del chitarrista irlandese non è certamente impeccabile, i suoi assoli non sono eleganti né eruditi ed è forse per questo che non ha mai raggiunto la fama dei mostri sacri suoi contemporanei ma, se nella mia ignoranza mi permettete di esprimere un parere, avendo la possibilità di scegliere fra un suo concerto ed uno di Jimi Hendrix non avrei dubbi a scegliere Gallagher, anche a costo di sembrare una pazza blasfema. Il motivo è molto semplice: al primo assolo Hendrix ti fa piangere per l’incredulità, al secondo ti stordisce, ma al terzo sei un uomo o una donna morta e se per puro caso un neurone è sopravvissuto al massacro, non vuole percepire suoni per almeno una settimana (fosse solo per ricordare l’emozione del primo assolo). L’interpretazione di Gallagher è praticamente l’opposto: dopo un assolo lungo una vita ne vuoi un altro e poi un altro ancora perché non stancano mai, il suo entusiasmo è l’entusiasmo di chi lo ascolta e la dedizione che impiega nel far vibrare le corde della sua chitarra si trasmette al pubblico senza barriere di alcun tipo. Proprio per questo motivo gli album che esprimono al meglio le travolgenti capacità di Rory Gallagher sono live, primo fra tutti Irish Tour.
Il disco si apre con Cradle Rock, un rock blues veloce e fragoroso dove Lou Martin alle tastiere, Rod De'Ath alla batteria e percussioni, Gerry McAvoy al basso oltre ovviamente a Rory, voce e chitarra, danno il meglio per infiammare gli animi degli ascoltatori. L’atmosfera così surriscaldata è pronta ad accogliere I Wonder Who, brano cento per cento blues che in 7’e 52’’ ci fa capire perché Eric Clapton ha detto di Gallagher: "L’uomo che mi ha fatto tornare al blues". Persino una principiante come me riesce ad apprezzare la bellezza di esecuzione di questo pezzo. Seguono Tattoo'd Lady, un classico hard rock della discografia dell’artista, Too Much Alcohol, cover di J.B Hutto, e As the Crow Flies, altra cover eseguita con maestria dall’artista con la sua National Resonator del 1932 (“maltrattata” pesantemente con il bottleneck) e l’armonica a bocca. Dopo il brano acustico è la volta di A Million Miles Away, quella che secondo me è La canzone di Rory Gallagher, assolutamente completa sia dal punto di vista vocale sia strumentale, dove la chitarra viene accompagnata da un organo elettrico che fa decisamente sentire la propria presenza. Il livello rimane alto anche in Walk on Hot Coals; con questo brano ci spostiamo verso lo psichedelico, ma io vi consiglio di dare un’occhiata al link che vi ho messo per capire quello che vi dicevo sulla passione di Rory: per tutta la durata del pezzo non proferisce parola, ma è praticamente la sua Stratocaster a cantare per lui. Who's That Coming? e di nuovo il bottleneck riportano le sonorità verso il rock blues, ma questo non ci permette di tirare il fiato nemmeno per un attimo perché tutti gli elementi del gruppo tornano a scatenarsi e a far scatenare chi li ascolta. Per Back On My Stompin' Ground si parla ancora di rock blues mentre Maritime conclude l’album (giudicato da Melody Maker miglior album live dell’anno) con un rock'n'roll in cui Martin di nuovo si rende protagonista, questa volta con un discreto assolo di piano.
Irish Tour è stato compilato registrando i concerti di Dublino (Carlton Cinema), Cork (City Hall) e Belfast (Ulster Hall). Ora vorrei farvi notare un’ultima cosa, siamo nel 1974, uno dei periodi più neri per quanto riguarda i conflitti fra cattolici e protestanti (nazionalisti e unionisti, chiamateli come vi pare!) a Belfast tutto era un buon pretesto per innescare atti di violenza e per questo quasi tutti gli artisti evitavano la capitale dell’Irlanda del Nord come la peste.
Rory Gallagher e colleghi, invece, all’Ulster Hall hanno dato vita ad uno dei più grandi concerti della storia del rock e grazie alle riprese del regista Tony Palmer possiamo goderne una piccola parte anche noi.
La tecnica del chitarrista irlandese non è certamente impeccabile, i suoi assoli non sono eleganti né eruditi ed è forse per questo che non ha mai raggiunto la fama dei mostri sacri suoi contemporanei ma, se nella mia ignoranza mi permettete di esprimere un parere, avendo la possibilità di scegliere fra un suo concerto ed uno di Jimi Hendrix non avrei dubbi a scegliere Gallagher, anche a costo di sembrare una pazza blasfema. Il motivo è molto semplice: al primo assolo Hendrix ti fa piangere per l’incredulità, al secondo ti stordisce, ma al terzo sei un uomo o una donna morta e se per puro caso un neurone è sopravvissuto al massacro, non vuole percepire suoni per almeno una settimana (fosse solo per ricordare l’emozione del primo assolo). L’interpretazione di Gallagher è praticamente l’opposto: dopo un assolo lungo una vita ne vuoi un altro e poi un altro ancora perché non stancano mai, il suo entusiasmo è l’entusiasmo di chi lo ascolta e la dedizione che impiega nel far vibrare le corde della sua chitarra si trasmette al pubblico senza barriere di alcun tipo. Proprio per questo motivo gli album che esprimono al meglio le travolgenti capacità di Rory Gallagher sono live, primo fra tutti Irish Tour.
Il disco si apre con Cradle Rock, un rock blues veloce e fragoroso dove Lou Martin alle tastiere, Rod De'Ath alla batteria e percussioni, Gerry McAvoy al basso oltre ovviamente a Rory, voce e chitarra, danno il meglio per infiammare gli animi degli ascoltatori. L’atmosfera così surriscaldata è pronta ad accogliere I Wonder Who, brano cento per cento blues che in 7’e 52’’ ci fa capire perché Eric Clapton ha detto di Gallagher: "L’uomo che mi ha fatto tornare al blues". Persino una principiante come me riesce ad apprezzare la bellezza di esecuzione di questo pezzo. Seguono Tattoo'd Lady, un classico hard rock della discografia dell’artista, Too Much Alcohol, cover di J.B Hutto, e As the Crow Flies, altra cover eseguita con maestria dall’artista con la sua National Resonator del 1932 (“maltrattata” pesantemente con il bottleneck) e l’armonica a bocca. Dopo il brano acustico è la volta di A Million Miles Away, quella che secondo me è La canzone di Rory Gallagher, assolutamente completa sia dal punto di vista vocale sia strumentale, dove la chitarra viene accompagnata da un organo elettrico che fa decisamente sentire la propria presenza. Il livello rimane alto anche in Walk on Hot Coals; con questo brano ci spostiamo verso lo psichedelico, ma io vi consiglio di dare un’occhiata al link che vi ho messo per capire quello che vi dicevo sulla passione di Rory: per tutta la durata del pezzo non proferisce parola, ma è praticamente la sua Stratocaster a cantare per lui. Who's That Coming? e di nuovo il bottleneck riportano le sonorità verso il rock blues, ma questo non ci permette di tirare il fiato nemmeno per un attimo perché tutti gli elementi del gruppo tornano a scatenarsi e a far scatenare chi li ascolta. Per Back On My Stompin' Ground si parla ancora di rock blues mentre Maritime conclude l’album (giudicato da Melody Maker miglior album live dell’anno) con un rock'n'roll in cui Martin di nuovo si rende protagonista, questa volta con un discreto assolo di piano.
Irish Tour è stato compilato registrando i concerti di Dublino (Carlton Cinema), Cork (City Hall) e Belfast (Ulster Hall). Ora vorrei farvi notare un’ultima cosa, siamo nel 1974, uno dei periodi più neri per quanto riguarda i conflitti fra cattolici e protestanti (nazionalisti e unionisti, chiamateli come vi pare!) a Belfast tutto era un buon pretesto per innescare atti di violenza e per questo quasi tutti gli artisti evitavano la capitale dell’Irlanda del Nord come la peste.
Rory Gallagher e colleghi, invece, all’Ulster Hall hanno dato vita ad uno dei più grandi concerti della storia del rock e grazie alle riprese del regista Tony Palmer possiamo goderne una piccola parte anche noi.
1 commento:
Sono riuscito a trovare l'album in questione (e l'ho anche ascoltato!). BELLISSIMO!!! Ti trasporta letteralmente in un altro mondo. Tra le mie preferite: I wonder who (blues all'ennesima potenza!), As the crow flies (riesce a tirare fuori da quella chitarra suoni paradisiaci e l'armonica a bocca è cosi maledettamente old style!) e A million miles away (quanta classe, l'assolo è da catalessi!). Signore e signori, giù il cappello!
Grazie Caffeine!
Ciao a tutti
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