domenica 26 ottobre 2008

Scozia: sì, lo voglio.

Di tutti i posti in cui sono stata (non sono stati poi tanti, va beh, ma dirlo così fa scena), l’unico di cui non dico che “mi piacerebbe” ma che “voglio” tornarci è la Scozia.
Il motivo non lo so mai spiegare se non con la sensazione di “ci sto bene” che mi ha dato quando, un tot di anni fa, ne ho girato una buona parte in auto durante una vacanza in comitiva.
I motivi di lamentazioni e borbottii altrui – le stanze dei b&b troppo piccole, il gallo della fattoria che ci ospitava che cantava troppo presto, il mare troppo mosso durante la traghettata verso le Orcadi, l’inglese duro e smozzicato della gente, e via dicendo – per me non esistevano, annichilati dai saliscendi del paesaggio, dalle soste improvvisate per “pocciare” i piedi nel mare limpido e gelato in pieno agosto, dalle distese di erica e pecore, dal the (o dallo whisky) che ci aspettava immancabilmente quando arrivavamo in certi b&b piccolissimi, tre stanze al massimo, gestiti da famiglie o da coppie un po’ in là con l’età.
Il nostro viaggio di allora, iniziato a Edimburgo con la sola direzione “verso nord”, era stato preparato per mesi. Guide, siti, consigli, programmi e piantine stradali alla mano, eravamo saliti nel nostro monovolume con volante a destra pronti alla ventura e senza troppe fisime. Fin tanto che si arrivava al b&b di quella notte, e fintanto che si trovava un pub in cui cenare e annegare nella birra la stanchezza della giornata, tutto il resto si poteva modificare.
È così che ho toccato con mano il manto delle vacche dai capelli lunghi, che ho visitato castelli e dimore mantenuti come se il tempo non fosse passato, che alle Orcadi ho visto un pezzetto di casa prima (la cappella degli Italiani, costruita dai prigionieri di guerra e conservata dagli scozzesi) e Skara Brea poi, un villaggio preistorico così intriso dello spirito scozzese che non si fa scrupolo a dire “al tempo delle piramidi io ero già storia”.
Troppo c’è da dire sulla Scozia per condensare in modo logico in un solo post, quindi perdonatemi e permettetemi di divagare.

Muovete quel culo
Non rinunciate all’isola di Skye, con Dunvegan Castle – casa dei MacLeod – a ridosso del mare e il suo parco boscoso e avvolgente. Percorrete almeno un tratto della strada del nord, da John O’ Groats a Durness all’alba o al tramonto quando le colline da un lato e il mare dall’altro vi faranno credere di essere in un caleidoscopio gigante.
Accontentavi di un sandwich e uno yogurt presi al Tesco a mezzogiorno, e rifatevi la bocca cenando in un pub con hamburger di manzo, insalatine e chips annegate nell’aceto da mandar giù con pinte di birra intere, che se tanto ne ordinate una mezza fanno finta di non sentirvi. Prendetene ogni volta una diversa, la scelta è vastissima e provarne il più possibile è un obbligo morale. E ricordatevi che, nel migliore dei casi, le ordinazioni per la cena chiudono alle 19.30 (e che pasta&pizza si evitano a prescindere).

Lasciatevi andare
Escludete gli alberghi e scegliete dal sito del turismo i b&b in cui dormire, se vi spostate in continuazione uno diverso per notte, se ci riuscite il più piccolo che trovate. Gli scozzesi che abbiamo incontrato in questo modo sono ospitali, gentili, pronti a fare quattro chiacchiere e a consigliare – in un caso, per noi, addirittura ad invitarci al loro seguito – piccole feste di paese o fiere locali nelle quali assistere al lancio del tronco, ascoltare il concerto della banda con la cornamusa, rifiutare garbatamente il piatto locale d’haggis (non volete sapere, credetemi) e ammirare uomini disinvolti nel proprio kilt, orgogliosi e fieri nel mostrare il tartan di famiglia.
Nel limite del possibile non negatevi niente, né una visita alle scogliere a strapiombo sul mare, con le foche che sguazzano decine e decine di metri più in basso, né una passeggiata lungo Princess Street a Edimburgo, con librerie su 4 piani e centri commerciali a pochi metri dalle botteguccie e dai negozietti che vi affiancheranno nei viottoli che si inerpicano verso il Royal Mile. Evitate il pub pieno di stranieri (come voi) e gente alla moda e cercatene uno con almeno tre vecchietti dentro, e passate due ore a vederli alzarsi col bastone in una mano verso il bancone per riempire il boccale una, due, tre volte.

Perdetevi
Imboccate quella stradina che vi tenta sulla destra e salutate la famiglia nella cui fattoria dai muretti bassi e con le vacche al pascolo in giardino sbucherete. Fermatevi a quel grumo di quattro case, una chiesa, una cabina del telefono e venti pecore a sgranchirvi un po’ le gambe, magari anche fra le pietre del vecchio cimitero in disuso da decenni ma ancora pulito e pettinato da non si sa bene chi.

Prendetevi tempo
Per quanto mi dolga dirlo, se il tempo a disposizione non è molto rinunciate a qualcosa, ma godetevi il resto. Non saltate da un castello all’altro come cavallette impazzite, non correte sulle stradine sghembe alla ricerca dell’ultimo museo, dell’ultima distilleria, dell’ultimo monumento.
Ogni castello ha attorno un parco che vi implora di percorrere i suoi sentieri, di scoprire i suoi piccoli giardini rinchiusi fra alte mura, di ascoltare la tranquillità che secoli di cure gli hanno donato.
I due parchi di Dunrobin Castle – casa del Clan Sutherland – e di Dunvegan Castle, che non ho visitato perché altri erano i programmi e debole la mia capacità di impormi, mi sono rimasti impressi come scorci colti dal finestrino dell’auto e null’altro che un (patetico) “se solo…”
Nel programmare l’itinerario tenetevi almeno un paio di ore libere al giorno da riempire al momento fermandovi a bordo strada per lasciar passare un gregge, chiedendo info sulle curiosità locali al gestore del mini-market, riparandovi dopo una corsa sotto una tettoia dalle solite, immancabili, quattro goccioline d’acqua o passeggiando a testa in su fra gli edifici di una di quelle scuole a convitto come nemmeno HarryPotter è riuscito a farci immaginare.

Ok, lo ammetto: sto straparlando. Ma penso che il punto della relazione fra me e la Scozia sia chiaro: se potessi me la sposerei.
Quindi, nel caso un giorno sparissi, il primo dei due-tre posti dove cercarmi è lì.